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L’Hotel Vezia rimane senza richiedenti asilo

Il centro che ospitava un centinaio di migranti ha dovuto chiudere. Una decisione che ha lasciato l’amaro in bocca e punti interrogativi irrisolti

Ora torna alla sua funzione originale
(Ti-Press)
2 luglio 2024
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Se ne sono andati tutti. Il centinaio di richiedenti asilo che alloggiava all’Hotel Vezia ha dovuto nuovamente cambiare casa. Stando a nostre informazioni, una casa lontana dalla vita che si erano costruiti nel Luganese. C’è chi è stato spostato a Biasca, chi a Locarno e chi in altre località. Proprio pochi giorni fa, il 30 giugno, è scaduto il contratto di un anno e mezzo, siglato dai proprietari dell’albergo con il Cantone. Una decisione, quella di chiudere il centro, che ha lasciato l’amaro in bocca non solo ai protagonisti di questa serena convivenza, ma anche alle famiglie che con quelle persone avevano stretto amicizia.

In particolare, lo scorso mese, era partita una raccolta firme tra i genitori dell’istituto scolastico di Lamone-Cadempino che chiedevano alle autorità di trovare, per due famiglie in particolare, una soluzione che permettesse ai loro figli di continuare a frequentare la stessa scuola. “Non ci sembra di chiedere la luna – concludeva la nota dei genitori –, ma semplicemente di coniugare la ragione con il cuore”. Le ottanta firme raccolte, tuttavia, non hanno mosso le autorità cantonali dalla propria posizione: il centro, gestito dalla Croce Rossa per conto del Dipartimento socialità e sanità, era provvisorio e il mandato temporaneo. I motivi? Per il Cantone era importante che i richiedenti l’asilo residenti potessero terminare almeno la prima parte della fase d’integrazione e quindi trovare un proprio appartamento. La soluzione di interrompere la loro esperienza a Vezia è stata dettata anche da necessità finanziarie.

‘Promesse non mantenute’

Per Markus Wilche, proprietario dell’albergo, le promesse però non sono state mantenute. «Ospitavamo principalmente afghani e curdi – ci spiega –. Tutti con un percorso di integrazione già quasi terminato. Invece che essere poi trasferiti in un appartamento come era stato loro promesso sono stati spostati in altri centri tra Biasca e Locarno. Per loro dunque non c’è stato un miglioramento».

A dover ricominciare da capo, oltre ai bambini che frequentavano le scuole di Lamone-Cadempino, saranno anche gli adulti. «Di giorno erano tutti impegnati, a parte qualche rara eccezione. Molti di loro lavoravano nella ristorazione o in alberghi, impieghi che mal si conciliano con spostamenti fino nel Sopraceneri. Hanno quindi dovuto terminare i contratti e rimanere senza impiego». «Molti aiutavano anche qui – illustra il proprietario –, in giardino, in lavanderia, in cucina e in generale nella struttura. Si davano da fare e si aiutavano vicendevolmente. Nel corso dell’ultima settimana si sono dovuti salutare e sono stati portati via. C’era tanta tristezza da parte loro, ma anche da parte nostra. Non era quello che ci aspettavamo».

L’intenzione dei proprietari dell’Hotel Vezia era quella di prolungare quest’esperienza «positiva e arricchente per tutti, perché è una struttura che si presta bene per questo tipo di accoglienza. Non abbiamo mai avuto problemi e l’hotel era diventato come un piccolo paese». L’alloggio collettivo, prosegue Wilche, «è il più grande in assoluto che ci sarebbe in Ticino, con una capienza di quasi 180 posti. Anche per questo abbiamo ribadito che restiamo a disposizione delle autorità». Nel frattempo, l’albergo torna alla sua funzione originaria di struttura turistica.

‘Era un esempio virtuoso’

Nel frattempo, le due famiglie per cui i cittadini di Lamone e Cadempino si erano battuti, sono state trasferite una al Centro della Croce Rossa di Cadro e l’altra a Novaggio. Un genitore che è in contatto con loro, ci ha raccontato che «c’è stata una chiusura totale da parte del Cantone, gli unici ad averci risposto sono stati quelli del Comune di Lamone ma che purtroppo non avevano voce in capitolo». L’esempio di Vezia, conclude, «era un esempio virtuoso e il fatto che così tanti cittadini si siano attivati in favore di queste persone, è una dimostrazione concreta di quanto l’integrazione abbia funzionato bene. Mi chiedo perché non si possa andare incontro alle esigenze di due famiglie e dei loro bambini, che dopo essersi ambientati in un luogo, dovranno ricominciare tutto da capo». Un punto interrogativo che rimarrà forse senza risposta. Il Cantone non intende fare retromarcia.