Tra il 2015 e il 2016 l'imputato è accusato di aver intascato valori patrimoniali affidatigli da clienti per un valore di oltre 1 milione di franchi
Alcuni soldi fanno giri immensi, ma non ritornano. Soprattutto quando ci sono di mezzo triangolazioni complesse e i cosiddetti ‘paradisi fiscali’. In estrema sintesi, è questo quanto accaduto a tre clienti italiani, intenti a evadere il fisco, che tra il 2015 e il 2016, hanno affidato importanti somme a un 43enne che oggi è comparso dinnanzi alla Corte delle Assise Criminali di Lugano – presieduta dalla giudice Francesca Verda Chiocchetti – per il reato principale di appropriazione indebita ripetuta. Il procuratore pubblico Daniele Galliano ha formulato nei suoi confronti una richiesta di pena di tre anni di cui due sospesi condizionalmente per due anni e sei mesi da espiare.
Il processo, tanto complicato quanto lungo, ha visto come protagonista un uomo, attinente del Luganese, che tra il luglio 2015 e il dicembre 2016 si sarebbe impossessato di valori patrimoniali affidatigli da alcuni clienti per una somma pari a oltre un milione e 200mila franchi. Ma facciamo un passo indietro. I fatti che hanno portato il 43enne in aula iniziano nel 2014, quando alcuni clienti italiani – non volendo aderire alla ‘voluntary disclosure’ italiana (uno strumento che consente ai contribuenti che detengono illecitamente patrimoni all’estero di regolarizzare la propria posizione denunciando spontaneamente all’Amministrazione finanziaria italiana la violazione degli obblighi di monitoraggio) – desideravano spostare i propri capitali (non fiscalmente dichiarati) detenuti in Svizzera, verso i cosiddetti ‘paradisi fiscali’. Ciò veniva però ostacolato dall’implementazione del ‘Weissgeldstrategie’ (la strategia del denaro bianco adottata dagli istituti bancari elvetici per evitare l’evasione delle tasse).
In questo contesto, l’imputato avrebbe cercato degli stratagemmi per aggirare queste norme, non senza un personale tornaconto. Avendo acquistato da una fiduciaria della zona un pacchetto azionario di una società olandese con sede ad Amsterdam e il conto a Londra, l’uomo l’avrebbe utilizzato per ‘aiutare’ questi clienti a spostare capitali dalla Svizzera verso i paradisi fiscali grazie a complesse triangolazioni finanziarie (lecite, va precisato). Lo schema era semplice: dalla Svizzera i capitali prendevano il volo verso una neocostituita società bulgara gestita da un amico dell’imputato. Da qui venivano versati sul ‘conto calderone’ olandese, che poi li trasferiva nel paradiso fiscale di destinazione. Ma non tutti. Secondo l’accusa infatti, l’imputato avrebbe trattenuto ingenti quantitativi di denaro di almeno tre suoi clienti – costituitisi accusatori privati, rappresentati dall'avvocato Costantino Castelli – per spese personali e in favore di società a lui riconducibili, giustificandoli con false fatturazioni. Parlando in cifre: Quasi 400mila franchi per sé e gli oltre 920mila restanti rimborsati ad altri clienti. Gli ultimi clienti, i tre italiani, rimangono però a bocca asciutta.
Un comportamento – finora ancora presunto – che l’avvocato Castelli ha definito «da abile mistificatore, che alla fine però si considera lui stesso vittima di un ingranaggio più grande di lui». Il 43enne, difeso dall’avvocato Daniele Iuliucci, ha ammesso di aver utilizzato parte di quei soldi, ovvero i quasi 400mila franchi di prima e ha affermato che la situazione gli è sfuggita di mano. Il suo patrocinatore si è battuto per una massiccia riduzione di pena, affermando, in ultima battuta in ultima battuta che «le vittime non sono neanche i clienti, la banda bassotti dell’evasione fiscale, ma la Weissgeldstrategie della Confederazione». La sentenza sarà comunicata il 19 aprile.