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Una pena sospesa per una truffa da oltre un milione di franchi

Un finto fiduciario ha sottratto denaro di clienti italiani, utilizzandolo per scopi privati e per fare la bella vita

I fatti risalgono a una decina di anni fa. Ermani: ‘Violato il principio di celerità’
(Ti-press)
3 giugno 2024
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Volevano evadere il fisco italiano, investendo i soldi in Svizzera. Ma quattro facoltosi clienti italiani sono incappati in un truffatore, un connazionale di 52 anni che non aveva neanche l’autorizzazione a svolgere l’attività di fiduciario in Ticino. Ciononostante era l’amministratore unico di una società con sede a Lugano, oggi radiata. Tramite documenti finanziari falsificati l’uomo, da fine 2013 all’estate del 2015, è riuscito a spillare loro oltre un milione di franchi per finanziare un suo ambizioso progetto: possedere una compagnia assicurativa in Liechtenstein.

Per questi fatti alla Corte delle Assise correzionali di Lugano il giudice Mauro Ermani, al termine di una procedura svoltasi nella forma del rito abbreviato, lo ha condannato a due anni sospesi condizionalmente per un periodo di prova di quattro anni e all’espulsione dalla Svizzera per cinque anni per i reati di: truffa aggravata, ripetuta appropriazione indebita, aggravata amministrazione infedele, ripetuta diminuzione degli attivi a danno dei creditori, ripetuto conseguimento fraudolento di una falsa attestazione, ripetuta falsità in documenti e ripetuta omissione della contabilità. Pronunciando la sentenza, il presidente della Corte ha osservato che l’entità relativamente contenuta della pena è dovuta a «una grave violazione del principio di celerità», visti i molti anni trascorsi dai fatti.

Causali falsificate e soldi spesi per scopi privati

Come spiegato nell’atto d’accusa dal procuratore pubblico Daniele Galliano, il 52enne proponeva ai suoi clienti, che non avevano ancora aderito alla voluntary disclosure (uno strumento utilizzato in Italia che consentiva ai contribuenti che detengono illecitamente patrimoni all’estero di regolarizzare la propria posizione denunciando spontaneamente i loro averi), di affidare a lui i loro soldi in cambio di investimenti ad alto rendimento o in polizze assicurative, il tutto corredato con causali falsificate e versamenti in conti correnti inesistenti. Due di questi clienti, dopo aver dichiarato a un collaboratore della compagnia assicurativa riconducibile al 52enne di possedere degli averi non dichiarati, sono stati avvicinati dall’imputato che ha proposto loro di gestirne i risparmi promettendo un rendimento annuo del 4%. Con una metodologia simile, nella quale figurava anche l’acquisto del 5% del pacchetto azionario della sua azienda, ha truffato anche gli altri due clienti.

Contesto finanziario disastrato

Inoltre, l’uomo – che in Italia sta scontando una pena per diffamazione e si sta curando di una dipendenza da stupefacenti –, tramite la sua società e i lauti guadagni conseguiti ha fatto la bella vita, utilizzando il denaro sottratto per scopi privati. In particolare, nel 2014 ha sottoscritto due contratti di leasing per una Porsche Panamera e una Porsche Cayenne. Tuttavia, ha pagato solo in parte le rate dell’auto: nel 2016, a causa della crisi nella quale versava, ha deciso di vendere la società che amministrava. Nel contratto di compravendita ha inserito anche la cessione delle due vetture, passate poi a una terza persona. La Panamera è stata trovata nel frattempo in Italia, mentre la Cayenne risulta tuttora scomparsa. Per questi fatti, il 52enne è stato ritenuto colpevole di ripetuta appropriazione indebita. I restanti reati sono di carattere amministrativo: bilanci falsificati (danneggiamento di patrimonio dei clienti per oltre 700’000 franchi), documenti altrettanto fasulli, una montagna di debiti, società in liquidazione. Questo il quadro nel quale si è mosso per qualche anno il condannato, prima di tentare di mettere una pezza alla situazione finanziaria disastrosa vendendo le due Porsche.

In chiusura, il giudice Ermani, dato l’accordo tra il pp e l’avvocato della difesa Maurizio Pagliuca, si è limitato solo a ripercorrere i fatti e al momento della sentenza ha dichiarato che «incarti di questo tipo, lasciano l’amaro in bocca per i tempi lunghi». Dopo aver approvato la pena proposta dai due legali, il presidente della Corte ha auspicato che «il Ministero pubblico non faccia più questi ritardi, così da proporre delle pene adeguate e non condizionate dal tempo».

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