Circa un terzo dei collaboratori resta senza lavoro tra fine febbraio e fine marzo. Paolo Coppi (Ocst): ‘Preoccupa il futuro dell’azienda in Ticino’
Sono 42 i dipendenti della Südpack di Bioggio che resteranno senza lavoro. La scure dei tagli grazierà solo una minoranza della cinquantina di possibili esuberi che erano stati dichiarati a inizio novembre dall’azienda tedesca, aprendo il periodo delle consultazioni con il personale e con i sindacati Ocst e Syndicom. E la finestra di dialogo, ci svela il vicesegretario regionale dell’Ocst Paolo Coppi, si è chiusa prima di Natale: entro la fine dell’anno sono state intimate le disdette ai lavoratori interessati, con decorrenza per alcuni dalla fine di febbraio e per altri dalla fine di marzo. In totale, più o meno un terzo dei circa 140 collaboratori dell’azienda, che è leader in Svizzera nella produzione di pellicole flessibili per imballaggi, resterà senza lavoro.
«È una sconfitta per tutti – valuta Coppi –. Nonostante la disponibilità dell’azienda, nonostante l’impegno nel cercare delle soluzioni, nonostante il recuperato dialogo e la buona collaborazione generale, non si è riusciti a tutelare l’occupazione. E questo è per noi fonte di grande rammarico. Purtroppo ha vinto la strategia del breve termine e crediamo che nel lungo periodo anche la Südpack stessa riconsidererà il valore complessivo della sua scelta, che di certo non ha avuto come denominatore comune la tutela di un patrimonio industriale di altissimo livello». Il sindacalista aggiunge che le negoziazioni sono state lunghe e delicate.
«Gli incontri con il personale e il dialogo con l’azienda hanno reso possibile la formulazione di due alternative, sulle quali è stato poi chiesto a tutto il personale di esprimere la sua preferenza». La prima opzione era più in linea con la strategia aziendale, ossia: elaborare un piano sociale che comprendesse misure di accompagnamento che limitassero l’impatto dei licenziamenti. La seconda era invece decisamente alternativa: «Abbiamo ipotizzato la riduzione per tutti i collaboratori della percentuale d’impiego al 69% – spiega Coppi –: una sorta di patto di solidarietà collettivo che avrebbe avuto l’effetto di azzerare ogni disdetta e che avrebbe mantenuto inalterato, pensando soprattutto al futuro, il patrimonio di competenze e professionalità di Südpack Bioggio. Sarebbe dovuta essere una misura transitoria per un anno o due, una scommessa nell’attesa della ripresa».
Tuttavia, il personale ha scelto a larga maggioranza («90 preferenze su 133 votanti») di procedere con la prima opzione. Numeri alla mano, sembrerebbe essere mancata la solidarietà da parte della parte di collaboratori non colpita da tagli. «È quindi iniziata una seconda fase di consultazioni, atte allo studio di un piano sociale con misure le più vantaggiose possibile per le persone colpite dai licenziamenti e fino all’ultimo si è cercato di contenere il numero di disdette». Sono così state condivise delle soluzioni che prevedono dei buoni uscita la cui entità cresce sulla base di criteri sociali oggettivi, quali l’anzianità anagrafica e quella di servizio, nonché i carichi familiari dei dipendenti. Un modo, oltre agli strumenti di supporto al ricollocamento, per aiutare le persone colpite dalle misure di risparmio. E fra queste ci sono anche diversi residenti: dei 140 lavoratori, il 60% circa sono frontalieri e la restante parte vive in Ticino. E a grandi linee le medesime percentuali riguardano anche i 42 licenziati.
La crisi di Südpack, ricordiamo, è dettata dalla crescente predilezione della stampa flessografica rispetto alla stampa rotocalco nei mercati di riferimento del Gruppo. A questo, si aggiungono una forte concorrenza estera e crescenti costi energetici. L’azienda aveva tentato di acquisire nuovi mercati, tuttavia senza i risultati sperati. Pertanto già da tempo le capacità produttive dello stabilimento di Bioggio erano al di sotto del potenziale. Perciò, anche le decisioni prese a novembre non sono state valutate dai sindacati come un fulmine a ciel sereno. I dipendenti lavoravano a orario ridotto oramai da mesi. «Nelle prime fasi della consultazione si è tentato di determinare piani industriali diversi dalla riduzione della capacità produttiva, considerata controproducente in caso di una ripresa del business o di un rimbalzo della clientela verso la tecnologia a rotocalco».
«Ogni possibile alternativa produttiva non è stata presa in considerazione dalla direzione – osserva però Coppi –, che ha sempre valutato come unica via percorribile quella del ridimensionamento del sito di Bioggio, forse anche supportata da una strategia di delocalizzazione implementata da diversi anni, che ha portato Südpack ad avere siti alternativi in Polonia e Turchia». A preoccupare il sindacato è infatti anche il futuro stesso dell’azienda in Ticino: «Vista la tipologia di prodotto e l’assenza di un riorientamento produttivo, purtroppo non abbiamo la sensazione che puntino molto sul Ticino». Uno stabilimento che, ricordiamo, esiste dal 1943, quando è stato fondato con la ragione sociale E. Piciotti Sa ed è stato rilevato da Südpack nel 2002.