A ottant’anni dal ‘colpo di Stato’ che strappò l’enclave alla Repubblica sociale italiana filo-nazista, una serata pubblica sui fatti: fra mito e realtà
Un antifascismo dettato pragmaticamente (anche) da ristrettezze economiche più che da motivi ideologici e un ‘colpo di Stato’ che non si può definire effettivamente tale. Tra pochi giorni, il 27 gennaio, cade l’80esimo anniversario di un episodio che nel 1944 ha strappato Campione d’Italia dal governo filo-nazista della Repubblica sociale italiana, allineandolo al governo monarchico filo-americano instaurato nel Meridione. Quest’anno l’enclave celebrerà la ricorrenza in modo speciale: giovedì 25 gennaio alle 18.30, al settimo piano del Casinò, Bruno Boccaletti modererà una serata pubblica che cercherà di fare luce su quegli avvenimenti negli anni in parte mitizzati. Ospite dell’evento sarà lo storico Marino Viganò, al quale abbiamo posto alcune domande per saperne di più.
Anzitutto, specie per chi non è di Campione, a cosa si allude con ‘colpo di Stato’ del 27 gennaio 1944? Cosa accadde?
Va inteso il moto di una ventina di campionesi mirato a trovare lo sbocco a cinque anni di enormi difficoltà economiche per la chiusura del Casinò nel marzo 1939, la vigilia dell’inizio della Seconda guerra mondiale. Difficoltà aggravate dal settembre 1943, a seguito della resa dell’Italia agli anglo-americani, con l’occupazione tedesca del centro-nord e l’isolamento totale dalla provincia di Como, alla quale appartiene, non potendo più contare neppure su rifornimenti in alimentari, beni di largo consumo, denari dal territorio nazionale. Richiesta per mesi senz’esito la riapertura della casa da gioco al governo della Repubblica sociale fascista, alcuni campionesi si volgono a una soluzione alternativa: proclamarsi per il Regio governo, installato a Brindisi e sotto il controllo degli Alleati, e ottenere dai servizi segreti degli Stati Uniti mezzi e forniture sufficienti a mantenere la comunità, stremata, sino alla fine del conflitto e alla riattivazione del Casinò. Il tutto si riduce nell’intimare alla guarnigione di sei carabinieri di non opporsi al moto, dopo avere ottenuto garanzie dagli statunitensi e aver promesso loro un fazzoletto d’Italia nel quale poter operare in libertà senza ledere la ‘neutralità’ della Svizzera.
Chi furono le persone che ebbero un ruolo di rilievo in quell’episodio?
Per i rapporti politici con le autorità di riferimento, specie con la Legazione d’Italia a Berna retta dal diplomatico Massimo Magistrati – ex cognato di Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri –, il ruolo centrale si deve al campionese Plinio Bezzola, non per caso nominato poi regio commissario del Comune. Il moto in sé è incitato dal molisano Felice De Baggis, titolare di un’azienda di ceramiche, nei documenti del tempo definito soggetto leso più di altri dalle strettezze, nonché attivo nel mirare a una direzione «personalistica» della comunità – espliciti in tale senso i documenti, pure del vicecommissario Edoardo Alessi, tenente colonnello dei Carabinieri. Non è da meno don Piero Baraggia, e tolgo dalle sue note nel ‘Chronicon’ parrocchiale sotto il 24 gennaio: “Il parroco parte per Berna alle 8.50 da Lugano per conferire col R. ministro della Legazione d’Italia a Berna: Conte Magistrati. Ritorna a Campione il mattino del 25 gennaio». Evidente la preparazione col ministro del dopo ‘colpo di Stato’, ovvero del ‘governo’ locale. Fiancheggerà infatti il De Baggis nell’ostilità – ricambiata – verso il vicecommissario Alessi, ottenendone per finire la rimozione, e per concludere l’allontanamento.
Sottotitolo della serata è ‘fra mito e realtà’: per quale motivo? Davvero quello di Campione è definibile colpo di Stato?
Nessuno dei promotori e dei protagonisti utilizza tale dicitura, e il notaio luganese Attilio Lucchini lascia difatti scritto: “De Baggis ha dato ai cronisti le informazioni da essi desiderate, pregandoli di non parlare di colpo di Stato e di non esagerare la portata del movimento popolare”. Si tratta, in effetti, non tanto di un “movimento popolare”, quanto di scontenti: della parte cioè della popolazione campionese non impiegata in canton Ticino, priva dunque di entrate in franchi, allorché il “corso forzoso” della lira nell’enclave – con l’inflazione incontrollabile, il cambio ufficiale e quello ufficioso esplosi – mette in condizioni d’indigenza un numero significativo dei 900 residenti circa dell’epoca.
Per convenzione il 27 gennaio 1944 è la data di riferimento per celebrare un antifascismo campionese: davvero valida?
Sarebbe ingeneroso negar il contributo di veri patrioti all’evento, poi alla reggenza dell’enclave, ma altrettanto inesatto connettere troppo il fatto a inclinazioni limpide. Gli archivi provano trattative intense con la prefettura repubblichina di Como per riattivare il Casinò, e traffici di agenti dell’Office of Strategic Services statunitense impegnati a fare curricolo e a tenere a stecchetto formazioni partigiane autentiche, finanziandone di fittizie anziché incentivare la Resistenza. Fomentando perdipiù le prime – lasciano filtrare carte e testimoni in istruttoria di un processo insabbiato – a tragiche avventure, in particolare quella costata la vita, il 3 ottobre 1944, a Ugo Ricci, tenente del Regio esercito, capo in Val d’Intelvi di un gruppo ‘badogliano’, e al suo commissario politico Alfonso Lissi ‘Bianchi’, troppo indipendenti, si vede, per garbare a chi, a Campione, chiarisce che un dato comitato a Lugano ha pronte ben “800 mille lire da mandare nella zona, ma non manderà un soldo affinché sia eliminato il commissario politico cap. Bianchi dalla zona, e risolta la questione del Ricci”. Un libro denso di documenti ha indagato l’episodio: alcuni dell’enclave non fanno certo un bel vedere.
Senza quel 27 gennaio, il corso della storia per Campione poteva avere esiti diversi da quello seguito nel dopoguerra?
Ci si può chiedere se una parte della popolazione sarebbe arrivata a febbraio senza un supporto qualunque, avendo finito le risorse proprie e quelle pompate dentro il territorio da quello svizzero. Di sicuro, la Campione del dopoguerra viene marcata a fondo, negli equilibri politici, economici e affaristici, da quell’episodio, “montato su” al rango di ‘colpo di Stato’.