Nuova direzione alberghiera e laica per il convento. E diverse voci: ‘Vogliono vendere’. La replica? ‘Nessuna cessione, ma i frati sono sempre meno’
Il futuro del Convento del Bigorio è «a rischio» e bisogna attivarsi per salvarlo. È un appello accorato quello che si leva a tutela di quella che fin dal 1535 è stata la prima sede in Svizzera dei Frati cappuccini. Alcuni segnali ed eventi recenti getterebbero infatti delle ombre sul destino della struttura, mettendone a repentaglio l’esistenza stessa. A cominciare dalle decisioni prese lo scorso maggio dal capitolo: la funzione di guardiano è decaduta e la direzione della casa è stata affidata a una laica, Debora Ranza. Il Convento stesso è cambiato, in quanto ospita ora anche un Bed&Breakfast. Fra Michele Ravetta, che dal 2016 a quest’anno ne era stato il guardiano, è ora unicamente rettore del Santuario. E anche quest’ultimo aspetto, la trasformazione del Bigorio in un Santuario, suscita in diverse persone vicine al convento degli interrogativi.
Di carne al fuoco insomma ve n’è tanta. Che durante gli ultimi anni ci fossero delle tensioni al Convento capriaschese è un segreto di Pulcinella: le voci di paese si rincorrevano già da tempo. Si era parlato di attriti fra la gestione della casa e diversi membri del vecchio comitato dell’associazione Amici del Bigorio e persino di disaccordi tra gli stessi frati. Voci mai del tutto confermate. Nel frattempo si sono velocemente susseguiti: l’uscita di scena di Fra Roberto Pasotti, che per oltre cinquant’anni è stato responsabile della struttura, il rinnovo quasi integrale del comitato degli Amici, e il già citato passaggio della gestione da spirituale ad alberghiera. Solo due i frati rimasti: Fra Ravetta e Fra Gianluca Lazzaroni, vicedirettore della casa al fianco di Ranza.
Tanti cambiamenti e novità, al punto da suscitare preoccupazioni, timori, voci. Nelle ultime settimane abbiamo incontrato e parlato con diverse persone affezionate al Bigorio e alle sue vicissitudini. Vi riassumiamo alcune delle considerazioni emerse.
«Fino a poco tempo fa al Bigorio si respirava un’aria di famiglia. Ora non più – lamenta Renato De Lorenzi –. Non entra minimamente in discussione la professionalità e la competenza specifica della signora Ranza. Ma vogliamo che il Bigorio si trasformi pian piano in albergo? La componente conviviale comprendeva anche l’aspetto logistico, ovviamente, sia che si trattasse di gruppi, sia di singole persone alla ricerca di un luogo di scambio e di riflessione. Al Bigorio si sono organizzate giornate di studio di grande apertura, molto vicine alle problematiche giovanili, ma non solo. L’impressione è che questa opportunità stia scomparendo ed è un vero peccato che agli interrogativi posti da una società sempre più complessa e per certi versi disorientata non esistano luoghi privilegiati come il Bigorio per ricaricarsi le batterie».
Come De Lorenzi la pensano diverse persone. Fra queste, anche i membri del comitato degli Amici del Bigorio che ne sono usciti non senza qualche ruggine un paio d’anni fa. «Le polemiche sono parte del passato, adesso bisogna guardare al presente e al futuro – premette Edo Bobbià, uno dei membri più in vista del comitato precedente –. Noi siamo arrivati in un momento finanziariamente difficile per il Bigorio, chiamati da Fra Roberto. Eravamo in sette, ciascuno attivo in ambiti differenti ma accomunati dalla voglia di fare per questo straordinario monumento. E con impegno e caparbietà siamo riusciti a ridare nuova linfa al convento. Ho speso oltre dieci anni di energie e di lavoro per questo luogo che ritengo unico. Adesso però sono molto preoccupato per il suo futuro».
Perché? «Allo stato attuale non ho la sensazione di una continuità». Attività culturali e spirituali al convento ve ne sono ancora, si apprende dal sito, sul quale è già caricato il programma per il 2024. «Vero, ma sono molte di meno rispetto al passato. Ma non è solo questo. Sarebbe un peccato che una realtà, peraltro rimessa recentemente a nuovo con investimenti anche particolari come l’alambicco e gli apiari, venisse trascurata o peggio ancora cadesse in mano a speculatori. Ho paura che, visto che in prospettiva i frati purtroppo avranno sempre meno entrate, che il futuro stesso del convento sia a rischio. Per questo ritengo che si debba pensare a una gestione corretta e ben pianificata sul lungo periodo».
Le voci su una possibile cessione in effetti negli ambienti vicini al Bigorio si rincorrono da qualche tempo. Cosa fare per scongiurare quest’eventualità? «Va risolto a lungo termine il problema finanziario – osserva Bobbià –. Per trovare le soluzioni ci vorrebbero nuove proposte nella ricerca di fondi. Per questo mi auguro che questo articolo aiuti a concordare nuove soluzioni con l’attuale dirigenza per garantire l’auspicata continuità». Dello stesso avviso anche De Lorenzi. «Bisogna aprire di più ai laici, anche perché la crisi dei Frati è globale e non è solo una prerogativa ticinese o svizzera. Un esempio virtuoso è quanto si sta facendo con l’ex convento della Salita dei Frati di Lugano, salvato all’ultimo grazie alla costituzione di una Fondazione. Abbiamo già svenduto molto il nostro territorio. Dobbiamo tutelare quel poco che ci rimane. Non si può restare indifferenti nei confronti della decadenza di questo luogo storico. Bisogna trovare persone interessate al Bigorio, che gli vogliano bene e che ne abbiano a cuore il destino».
Persone, per De Lorenzi, ma anche istituzioni. «Considerato quel che rappresenta il Bigorio a livello culturale, anche l’ente pubblico potrebbe fare la sua parte. Il Decs (Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport, ndr) potrebbe sostenerlo. Anche non direttamente, ma suggerendo di inserire il convento nelle destinazioni delle scolaresche per le settimane verdi per esempio o per altre uscite culturali. E poi è un luogo simbolo della Capriasca e molto apprezzato e per questo sarebbe bello se fosse ancor maggiormente coinvolto nella comunità capriaschese. Si può creare un luogo di interesse regionale che faccia da motore per le attività locali. E questo sarebbe forse anche doveroso considerato anche il tipo di luogo che il Bigorio è. Un obiettivo realistico potrebbe essere rendere il Bigorio un polo di coordinamento e di rapporti interregionali col resto della Svizzera. Non solo dal punto di vista spirituale».
Preoccupazioni di peso, per uno dei luoghi storici e culturali, oltre che religiosi, più importanti del cantone. Per un riscontro, abbiamo interpellato Fra Mauro Jöhri. «Intanto va detto che una struttura come il Bigorio ha un costo non indifferente – premette il custode dei Cappuccini della Svizzera italiana –. Sono stati sempre necessari dei contributi, o da Fra Roberto prima o da Fra Michele poi con i loro stipendi, come anche dalla Provincia svizzera dei Cappuccini. Per uscire a pareggio, Bigorio ha bisogno che noi frati ci mettiamo del nostro. Per migliorare la situazione, si è deciso di introdurre il B&B nei momenti nei quali non ci sono gruppi, e questo capita frequentemente. Questo ha comportato anche degli interventi per adattare la struttura. Vendendo il convento di Lugano, avevamo una certa disponibilità per fare i lavori. La decisione di introdurre il B&B è stata presa unanimemente nel capitolo del 2020».
Fra Mauro smorza le preoccupazioni anche riguardo alla gestione. «Una fraternità (ossia una comunità, ndr) esiste se ci sono almeno tre frati. Dopo che è morto Fra Ferruccio, sono rimasti Fra Gianluca e Fra Michele ed è questo il motivo per il quale quest’ultimo non è più guardiano. La gestione dei corsi è stata affidata a Debora, perché riteniamo che sia all’altezza, e comunque sempre in dialogo con noi e in particolare con me. E Fra Michele continua a garantire le celebrazioni domenicali, che sono ben frequentate. Non intendiamo assolutamente cambiare l’impostazione della casa, anzi, continuiamo a metterla a disposizione per i corsi e i convegni. E continuiamo a fare le giornate di silenzio, l’aggiornamento francescano... attività come si sono fatte negli anni scorsi». L’impressione è che però ci sia stato un calo di quest’offerta. «Sì, bisogna però anche tener conto del fatto che noi frati stiamo diminuendo. Non ho più molto personale. Un tempo c’erano più persone che potevano portare avanti determinate proposte».
E proprio perché c’è questo problema fisiologico, entra in gioco la proposta dei nostri interlocutori, De Lorenzi e Bobbià: coinvolgere maggiormente dei laici. «La questione di quanto il convento propone oltre all’accoglienza è un tema sul quale si può discutere» replica Fra Mauro. Quindi c’è apertura? «Sì. L’importante è non muoversi su faldoni nostalgici. Quali sono i bisogni oggi, anche per coinvolgere un pubblico più giovane? È questa la domanda alla quale bisogna dare risposta». Secondo alcuni un modello virtuoso è il Convento della Salita dei Frati di Lugano. «Credo che effettivamente la soluzione trovata per quel posto sia quella adeguata ed è stata una grande fortuna aver trovato una Fondazione che ha mantenuto la Biblioteca. Allo stato attuale, tuttavia, il Bigorio può andare avanti così».
Sebbene dai vertici dei Frati sia garantita una continuità, una delle voci più insistenti è quella di una cessione controversa. Cosa c’è di vero? «Al momento nessuno ha mai ventilato la possibilità di vendere il convento. Non bisogna spaventarsi se ora sono rimasti solo due frati, perché per tanti anni Fra Roberto è stato da solo e ha portato avanti la casa con grandi meriti. La vendita non è un tema. Il tema per noi in questo momento è portare avanti questa struttura sulla quale abbiamo investito anche parecchio e siamo molto grati al gruppo degli Amici del Bigorio per tutto il sostegno che ha dato e che continua a dare. Ho proprio incontrato il comitato pochi giorni fa e ho spiegato loro cosa stiamo facendo e ho sfatato le voci di una vendita».
Ma l’attuale scelta di trasformare il convento parzialmente in B&B alla lunga garantirà sostegno finanziario al monastero? E la qualità, nonché la quantità, delle offerte culturali, sociali e spirituali è garantita? «C’è una prospettiva interessante all’orizzonte – anticipa Fra Mauro –. Si sta creando una nuova grande Provincia dei Frati cappuccini in Nord Italia, che riunirà Lombardia, Piemonte e Liguria e fra qualche anno i Cappuccini ticinesi dovrebbero venir inseriti in questa Provincia. Quando questo accadrà, la mia speranza è che vengano coinvolte persone del Nord Italia, e ce ne sono di molto in gamba, per portare avanti proposte di tipo formativo».