Intervista con una giovane attivista climatica, membro di Renovate Switzerland. A Pasqua protestarono bloccando il traffico al portale nord del Gottardo
È facile criticare i giovani (e meno giovani) che protestano per il clima, bollandoli semplicemente come degli esaltati rompiscatole. Certo, ritrovarsi incolonnati al Gottardo perché queste persone hanno deciso di protestare incollandosi all’asfalto, non contribuisce a renderli simpatici. Ci si potrebbe però chiedere perché dei normali cittadini mettano a repentaglio la loro reputazione (sociale, legale e lavorativa) per una causa che, in teoria, ci riguarda tutti. Abbiamo deciso d’incontrare una di queste persone, nella fattispecie Francesca Considine, 25enne luganese, membro di Renovate Switzerland (quelli che si sono incollati al Gottardo, appunto) che nel mese di aprile hanno tenuto la loro prima serata informativa nel nostro cantone.
Come sei diventata un’attivista?
La questione climatica era un problema di cui già mi preoccupavo, e mentre studiavo lettere a Losanna, la mia coinquilina si era unita alla sezione locale di Extinction Rebellion (Xr). Mi sono un po’ avvicinata a questo gruppo, compiendo anche qualche azione con loro. Il problema è che Xr in Svizzera, un po’ in tutto il mondo ma soprattutto qui, è un po’ in declino, e non è più così attivo com’era nel 2019. Un declino dovuto un po’ alla pandemia, ma anche a un cocktail di disperazione e delusione per l’assenza di cambiamenti. Una volta terminato il Bachelor sono tornata in Ticino, e ho continuato a sentirmi afflitta da una grande ansia ecologica, a cui si era aggiunto anche un senso di alienazione. Era appena uscito l’ultimo Ipcc Report (report annuale sugli effetti del cambiamento climatico, stilato da un panel intergovernativo in seno all’Onu ndr), un documento che considero tra i più importanti e autorevoli sul tema, e oltre al suo contenuto, che mi ha atterrita, il fatto che i miei colleghi manco sapessero cosa fosse mi è sembrata una follia. E in questa emergenza intorno a me vedevo solo inazione e passività. È stato in quel periodo di disperazione, che sui social ho visto quello che Renovate stava facendo e ho deciso di unirmi a loro. Adesso ho abbandonato il lavoro per dedicarmi a tempo pieno a Renovate.
Hai sempre approvato i loro metodi o inizialmente eri scettica?
Ero scettica, ma anche ignorante, perché non conoscevo l’importanza della nonviolenza e dei movimenti sociali. In ogni caso non mi sono unita per i loro metodi, ma perché vedevo queste persone compiere azioni che solo persone disperate compirebbero. Rovinarti il futuro in quel modo, abbandonare gli studi e il lavoro, non è qualcosa che la gente fa se ha della speranza. Credevo di avere finalmente trovato persone che condividevano la mia stessa disperazione e ho deciso di sostenerle.
L’attivismo non è smettere di mangiare carne o comprare lo spazzolino di bambù, perché non sono un’illusa che pensa che se non compro quello in plastica sto facendo qualcosa. Dobbiamo smetterla di raccontarci questa storia. Con Renovate sento di star facendo qualcosa di concreto, che dà fastidio, che è scomodo, che porta tante persone a odiarmi e a urlarmi addosso, ma che sta smuovendo la situazione, e non mi sono mai sentita così forte. Rispetto a prima, dove mi veniva solamente da mettermi in un angolo e piangere, sto agendo concretamente per la giustizia, che magari non servirà a nulla, ma che mi dà la consapevolezza di star dando tutto quello che posso. E questo mi dà speranza.
Prima hai detto che hai partecipato alle azioni di Xr, di cosa si tratta?
Azioni di disobbedienza civile. Xr è stato forse il più grande movimento di disobbedienza civile all’interno del movimento climatico. Sono stati i primi (in Inghilterra, è lì che è nato il movimento) a bloccare strade, incollarsi a monumenti, e addirittura uno è arrivato a incatenarsi con un lucchetto per biciclette a Buckingham Palace. In Svizzera sono stati gli organizzatori della ‘ribellione d’ottobre’ a Zurigo nel 2021, e che hanno più volte occupato Piazza Federale a Berna. Fra parentesi, una frase che sento spesso è che invece d’incollarci per strada dovremmo incollarci al Palazzo Federale: ecco, in quell’occasione era stato fatto e non se n’è parlato granché.
Ci sono molte persone che promuovono la causa climatica in maniera più convenzionale, ad esempio attraverso la politica. Non pensi possano sentirsi danneggiati dalle vostre azioni?
Non è che lo penso: lo so. Gestendo parte della comunicazione di Renovate ho avuto modo di leggere centinaia di messaggi da parte sia di politici che di normali cittadini, in cui veniamo accusati di danneggiare la reputazione dei Verdi e di essere controproducenti. Per me questo significa avere una visione un po’ limitata. In sostanza noi siamo un capro espiatorio: se un politico non viene votato è perché non sta facendo abbastanza per convincere le persone. In ogni caso non critico i loro metodi: le persone che cercano di cambiare le cose dall’interno sono altrettanto fondamentali.
Riconoscerai però che agli occhi dell’opinione pubblica è facile mettere tutti gli ambientalisti nello stesso calderone. In questo senso un po’ di danneggiamento c’è per forza.
La differenza è che noi non stiamo facendo politica, così come i nostri metodi sono ben lontani dalla politica. I movimenti sociali come il nostro non cercano per forza il consenso delle persone, a differenza dei politici. Ma entrambi, sia il consenso che la sua mancanza, sono necessari per polarizzare l’opinione pubblica e far progredire la causa. Perché solo provando emozioni forti l’opinione pubblica comincerà a interessarsi al tema.
La polarizzazione però funziona in due direzioni: ai vostri metodi qualcuno potrebbe reagire aderendo alle fazioni opposte, come ad esempio il negazionismo climatico.
Le persone che reagiscono in questo modo probabilmente non hanno mai creduto al cambiamento climatico. Con questo non voglio dire che non si possa non essere d’accordo con quello che facciamo, anzi lo capisco. Ritengo che spesso il motivo per cui la gente è contraria, è perché non capisce, o non sa, le ragioni per cui lo facciamo. Per me un grandissimo tema è l’emotività legata al cambiamento climatico: io vedo tante persone che dicono che è una cosa terribile quello che sta accadendo, che è una tragedia, eccetera, ma poi non fanno nulla. Per me questa passività è incomprensibile. Secondo me queste persone capiscono cosa sta accadendo, ma solo dal punto di vista razionale e non da quello emotivo. Magari lo fanno per proteggersi, o perché faticano ad empatizzare, ma per me questo è un grande problema. Perché è inutile dire che siamo fottuti e reagire con un ‘eh, ma io cosa ci posso fare?’.
Non tutti sono fatti per essere attivisti, vedi famiglia, lavoro, mancanza di tempo e risorse, quindi è anche legittimo chiedersi cosa si può fare.
Io faccio quello che faccio perché ho una situazione privilegiata che me lo permette, e ovviamente non mi aspetto ad esempio che una madre single che fatica ad arrivare a fine mese faccia lo stesso. Trovo però che ci sono tante persone che potrebbero fare di più, anche tra i miei amici, e non mi riferisco a lasciare studio e lavoro per andare a incollarsi alle cose: anche il solo parlarne contribuisce a cambiare il pensiero generale. Ma anche questa madre ha bisogno di essere toccata dal problema per cominciare a preoccuparsene e fare qualcosa. E perché questo accada, perché la gente cominci a educarsi su quanto sia grave la situazione, è necessario che siano smossi dalla loro comodità. Solo allora, quando la popolazione comincerà a chiedersi a che punto siamo, e a cercare d’identificare le cause e i responsabili, si arriverà a esigere un cambiamento. E questo è tutto quello che vogliamo: che la popolazione esiga un cambiamento.
Dal momento che vi sono molti gruppi, che sostanzialmente agiscono in maniera indipendente, non c’è il rischio che qualcuno passi a metodi più estremi e violenti?
Ammetto che io ho un po’ paura di questa possibilità, anche se in Europa non penso ci sia un rischio concreto. In ogni caso la violenza mi spaventa, e non solo da parte dei movimenti, ma come conseguenza sociale del riscaldamento globale. Lo abbiamo già visto durante la pandemia, con le tensioni sociali che sono nate per questioni banali come l’andare a fare la spesa. Con la crisi climatica queste tensioni saranno moltiplicate per mille, perché andranno a toccare tutti gli aspetti della nostra vita. E con tensioni sociali di questo genere, la violenza scoppia facilmente.
Torniamo a Renovate, quali sono i vostri obiettivi?
Il primo è che il governo riconosca l’emergenza climatica, ossia che dichiari pubblicamente e ufficialmente quanto sia grave la situazione, mentre quello che non chiediamo è lo stato di emergenza, ossia il conferimento di poteri speciali al governo, com’era accaduto durante la pandemia. Poi chiaramente dopo averlo dichiarato deve anche passare ai fatti, ossia soddisfacendo anche la nostra seconda richiesta. Lo scopo della campagna di Renovate è spingere il governo a rinnovare tutti gli edifici, cioè risanare a livello termico tutti i palazzi del Paese entro il 2030.
Durante la serata informativa avevate detto che questo ridurrebbe le emissioni in Svizzera solo del 15%.
Il 15% di un’intera nazione non è così poco. E in ogni caso, più che per il suo impatto, è stata fatta perché è una richiesta giusta, ovvia e necessaria. Non c’è una soluzione semplice a questa problematica, non si può risolvere questa crisi con una sola domanda. Questa però è una richiesta facilmente raggiungibile, che va effettivamente a vantaggio di tutti, cittadini compresi, e nel caso venisse rifiutata, il governo dimostrerebbe chiaramente che non è intenzionato a fare nulla, il che darebbe un segnale ancora più forte.
Ma il rinnovo degli edifici è di fatto già in atto...
Sì, ma noi vogliamo che sia fatto entro il 2030, mentre a questo ritmo, quando il rinnovo sarà terminato, sarà già troppo tardi. E secondo me stanno andando così piano appunto perché non sentono la pressione del problema, o perché hanno altri interessi e si concentrano su cose che rendono di più a livello economico. Perché quando si è deciso di salvare Credit Suisse, i soldi si sono trovati velocemente senza chiedere niente a nessuno. Se l’opinione pubblica percepisse l’emergenza in cui ci troviamo, le risorse per svolgere tutto più in fretta si troverebbero.
Avete tenuto qualche settimana fa la vostra prima serata informativa in Ticino. Qual è stato il responso?
Io sono contenta di com’è andata. Sono arrivate non poche persone, e sono stata contattata da molti che non sono potuti venire chiedendo quando saremmo andati nelle altre città. Anche la presenza mediatica mi ha impressionata. Abbiamo anche ricevuto delle richieste di adesione, e potenzialmente il numero dei nostri membri in Ticino potrebbe essere più che raddoppiato.
State programmando qualche azione in Ticino?
Per ora non c’è in programma niente, ma mi è piaciuta la frase del giornalista della Rsi, che alla fine del servizio ha detto ‘non è una questione di se succederà, ma quando’ (ride ndr).
Che consigli daresti al lettore, premettendo che non voglia fare niente d’illegale?
Prima di tutto informarsi, perché secondo me c’è tanta disinformazione. E non solo leggendo dati scientifici, ma cercando di sentirli. Poi non ridurre quello che stiamo facendo a una bravata per avere qualche minuto di notorietà in televisione. E una volta raggiunta questa comprensione, esigere, esigere che ci sia un cambiamento. Perché il problema dello spazzolino di bambù o della bicicletta è che ci porta a puntarci il dito addosso a vicenda, dando la colpa al vicino che usa la macchina o all’amico che mangia carne. Questo distoglie l’attenzione dalle persone, o enti, che sono davvero responsabili e possono davvero avere un impatto.