Il patriziato propone un corso aperto a tutti. Per il centro di dialettologia, è un segnale: significa che non è una lingua morta
Il dialetto è una fonte preziosa di conoscenza. Contiene un vasto patrimonio di informazioni sulla cultura, la storia e le tradizioni del luogo e permette di stabilire un legame profondo tra le persone che lo parlano, creando così un senso maggiore di appartenenza a una comunità.
Poggia su queste premesse l’idea venuta a Guido Casellini, segretario da metà anni 90 del patriziato di Arogno-Bissone: «Era il giorno del mercatino di Natale, mi trovavo dietro la bancarella gestita dal patriziato. Tre signore si sono avvicinate, due di Arogno e la terza bernese, e abbiamo iniziato a parlare tra di noi. La donna svizzera tedesca, benché viva da tanti anni ad Arogno con suo marito e parli fluentemente l’italiano, non capiva cosa si stessero dicendo le altre due. Allora, mi è venuta l’idea di organizzare un corso di dialetto».
Con il supporto del Municipio di Arogno che ha messo a disposizione la sala Alessandro Vanini e l’albo comunale per affiggere l’annuncio, ecco che l’idea è divenuta realtà. Casellini: «Non voglio creare dei letterati o dei futuri Sergio Maspoli, l’obiettivo è che i partecipanti abbiano un po’ di padronanza con i nostri vocaboli e i modi di dire», come "A gh’hu doss la rééla" che vuol dire "ho la sfortuna addosso" o "u mangiaa la föja" cioè "ho capito il problema".
«Nelle prime lezioni – continua Casellini – i partecipanti impareranno i numeri, i pronomi, i verbi come essere, avere, fare e quelli di uso comune come dormire, contare e cadere. Poi, verranno insegnate alcune frasi per la vita di tutti i giorni, come un ordine dal panettiere; degli scioglilingua, ad esempio "ti che te tachet i tac", e riconoscere le storture del dialetto dei giorni nostri, come "bev ’na bira", diventato erroneamente "ciapi ’na bira"».
Per ora sono state proposte otto lezioni, ma «se ci sarà sempre lo stesso entusiasmo – precisa Casellini – potremmo prolungare il periodo d’insegnamento e organizzare sedici o ventiquattro lezioni. Inoltre, sarebbe bello, a fine corso, organizzare un forum di discussione con appuntamenti settimanali, dove la gente si possa ritrovare a chiacchierare solo in dialetto su un tema a scelta».
«Alla prima lezione si sono presentati in sette – continua Casellini –. Una signora è di Villa Luganese; gli altri sei risiedono ad Arogno: due parlano già dialetto, una signora è originaria dell’Argentina e gli altri tre provengono da oltre Gottardo». Rita, originaria di Lenzerheide (Gr) e in Ticino ormai da trentotto anni, è venuta a conoscenza del corso tramite il sito del Comune. Per lei, il corso «è interessante e divertente. Il dialetto lo capisco, ma non l’ho mai parlato. In queste lezioni abbiamo già imparato le parole riguardanti la frutta, i colori, e verbi particolari come gridare, scegliere e prendere che sono completamente diversi dall’italiano».
Peter, originario di Coira, di professione filologo e già insegnante di inglese e tedesco in una scuola trilingue, è entusiasta di quanto sta imparando: «È una grande opportunità per incontrare gente, le lezioni sono allegre e non ci si annoia. Per me, è anche molto interessante notare le differenze linguistiche, per esempio ci sono molti più verbi riflessivi rispetto all’italiano come "ti ta vet" per dire "tu vai". Imparando il dialetto posso anche capire da dove proviene una persona, l’accento di alcune parole è differente se questa arriva da Arogno o da Biasca, esattamente come succede a Coira, San Gallo o Lucerna». Il suo scopo però non è parlare fluentemente il dialetto della ferrovia, ma «vorrei una conoscenza passiva, non essere perso quando mi parlano e vorrei capire meglio il valore che ha questa lingua che è di grande importanza».
Per Federico, pensionato originario di Berna e residente ad Arogno da oltre 20 anni, «il corso è geniale. Aspettavo da anni un’iniziativa simile e ora partecipo con entusiasmo. Io mi sono avvicinato al dialetto ascoltando le canzoni di Davide Van De Sfroos e alcuni dei suoi testi li ho tradotti in tedesco. I miei figli, che hanno frequentato le scuole in Ticino, capiscono il dialetto ticinese e noi ci siamo abituati a sentirlo parlare, ma non abbiamo mai avuto l’opportunità di parlarlo e questo corso è un’occasione unica».
Tutte e tre le persone provenienti da oltre Gottardo sono unanimi nel dire che è un peccato che il dialetto ticinese stia scomparendo dall’uso comune, diversamente da quanto succede per lo svizzero tedesco. A questo riguardo, Federico ha le idee chiare: «La situazione culturale tra gli svizzeri tedeschi e la Germania è diversa rispetto al Ticino e l’Italia. A inizio ’900 i dialetti svizzeri tedeschi stavano pian piano scomparendo, ma con l’avvento della Prima guerra mondiale c’è stato un taglio tra le due nazioni confinanti che ha portato a demonizzare la lingua tedesca e a riprendere i dialetti. In Ticino non è successo e ora il rischio di perdere questa ricca tradizione parlata è maggiore».
Per il direttore del centro di dialettologia e di etnografia Paolo Ostinelli, «anche se non è la modalità didattica ideale, è un bene che ci siano questi corsi. Vuol dire che c’è un certo interesse ad apprendere il dialetto, ma la sua trasmissione deve avvenire nelle famiglie». Riguardo all’evoluzione talvolta un po’ bislacca del dialetto, Ostinelli afferma che «questo è un segnale che il dialetto viene usato. Cristallizzare una lingua vuol dire condannarla perché non segue l’evoluzione di una società. Il fatto che il dialetto si modifichi vuole dire che è ancora vivo».
Guido Casellini ribadisce che il corso è aperto a tutti, non solo ai residenti: «Chiunque voglia integrarsi meglio nella comunità e conoscere espressioni tipicamente ticinesi è invitato a partecipare, la prima lezione è stata ben accolta e fin dalla prima serata c’è parecchio entusiasmo tra i partecipanti». Le lezioni si svolgono il lunedì nella sala A. Vanini della casa comunale di Arogno dalle 17 alle 18. Per partecipare ci si può annunciare presso l’ufficio patriziale di Arogno-Bissone.