L’oratorio di Lugano propone corsi base di lingua per fornire un primo sostegno all’integrazione
«Vogliono imparare tutto alla velocità della luce, sono molto ricettivi». Gli allievi sono alcuni profughi ucraini in fuga dalla guerra che hanno raggiunto il Luganese, dove sono ospitati da familiari o da privati. L’appuntamento per loro – così come per altri loro connazionali nelle giornate di giovedì e venerdì – è all’Oratorio di Lugano, dove nella mattinata di ieri sono iniziati i corsi di italiano a loro riservati. Abbiamo assistito alla prima mattinata di formazione, accolti dal direttore don Emanuele Di Marco e dalla contabile, e coordinatrice del progetto, Lisa Corvi Schmid. Con loro una serie di docenti attive o in pensione, coordinate da Chiara D’Ettorre, e altre volontarie (due di loro si sono occupate della figlioletta di una partecipante). I profughi arrivano e si annunciano, lasciando dati e recapiti (sono già stati creati i gruppi WhatsApp di classe) e il nome della famiglia che li ospita. «Questa settimana ci servirà per capire quali sono le loro esigenze linguistiche e come organizzarci per la custodia dei figli non ancora iscritti a scuola – spiega Lisa Corvi Schmid –. Abbiamo ricevuto molte offerte di volontari e insegnanti che incontreremo nei prossimi giorni. C’è anche una fondazione che vuole contribuire al lavoro. Venerdì mattina saranno con noi anche delle psicologhe». L’iniziativa è stata sviluppata nel giro di pochi giorni. Un post pubblicato da don Emanuele e il passaparola hanno fatto il resto. Per permettere alle volontarie di seguire al meglio i loro studenti, le classi saranno di quindici persone (questa mattina si sono presentati in diciotto, due gli uomini), divise in base alla loro conoscenza di un’altra lingua rispetto all’ucraino.
I partecipanti hanno ricevuto una cartelletta con il materiale scolastico (i quaderni sono stati forniti dalla Città di Lugano), che sarà a loro disposizione anche in formato audio, e, prima di recarsi nelle classi, sono stati salutati da don Emanuele. «Vogliamo essere insieme e voi in questa sofferenza: pensiamo a voi, alle vostre famiglie e ai vostri cari che stanno soffrendo («grazie mille», è stata la risposta corale dei partecipanti). Vogliamo che questa sia anche la vostra casa, sentitevi in famiglia. All’inizio avremo un po’ di difficoltà nella comunicazione, ma c’è un linguaggio del cuore che è universale e voi in questo cuore ci siete». Prima di congedarsi il parroco ha voluto dare il suo personale ‘benvenuto’ in lingua ucraina ai profughi. I partecipanti sono quasi tutte mamme (tra loro anche una nonna arrivata in Ticino con un nipotino di 11 mesi, due sorelle e una mamma con la figlia), l’età media si aggira intorno ai 35 anni. Nella prima aula che visitiamo gli allievi hanno preparato un cartellino con il loro nome. La maestra-volontaria sta spiegando come ci si presenta, sui banchi si prendono appunti («sono contente ed entusiaste, si scrivono tutto», ci ha detto una delle insegnanti). Nell’altra, dove sono stati raggruppati i profughi che non parlano inglese, si comincia dalle basi: le maestre stanno illustrando loro l’alfabeto e i suoni delle lettere. «Vogliamo insegnare loro le basi della lingua italiana – spiega Chiara D’Ettorre – fornendo quindi un principio d’integrazione per permettere loro di presentarsi e riuscire a fare la spesa. Poi cercheremo di capire quali sono i loro bisogni».
Ad aiutare Chiara nella sua lezione era presente Maria Emilia Arioli che ha messo a disposizione la sua conoscenza della lingua russa per questo progetto. «Sto cercando di aiutare perché all’inizio l’italiano può essere difficile se non si parla un’altra lingua – ci dice –. La maggior parte proviene dall’Ucraina orientale ed è stata scolarizzata prima del 2014, per questo posso parlare russo. Ci sono comunque grosse differenze, un po’ come succede tra il tedesco e lo svizzero-tedesco. Ho visto persone stanche che hanno alle spalle viaggi durati anche quindici giorni con treni, bus e passaggi per raggiungere le famiglie qui o il sud dell’Europa». Attendiamo la fine della lezione, durata due ore abbondanti e conclusa con un momento conviviale. Una donna chiede informazioni sul come rientrare a Taverne; un partecipante crede di poter cambiare gruppo dopo essersi reso conto di non essere riuscito a seguire bene le spiegazioni. «Non abbiamo chiesto nulla di specifico della situazione che si sono lasciati alle spalle – ci confida una maestra –. Quando vorranno ci racconteranno delle loro famiglie. C’è comunque qualcuno che ci ha detto di essere arrivato con la macchina, mentre un’altra persona ha a disposizione due vespe». Chiara D’Ettorre ci racconta invece che una delle sue allieve ha raccontato di essere scappata da Mariupol. «Mi ha stupito la reazione delle altre persone – ci dice –. Quando le è stato chiesto se riesce ad avere contatti con il resto della sua famiglia, la risposta è stata che è difficile, se non impossibile, perché non esiste più nulla della sua città». Alcune allieve si sono invece informate in merito al come muoversi per avere la vaccinazione contro il Covid-19».
Don Emanuele non ha esitato nel mettere a disposizione l’oratorio per il corso d’italiano. «Abbiamo una bella struttura che non viene usata nelle ore dove i ragazzi sono a scuola – spiega –. Avere un bello spazio e delle persone che si sono messe a disposizione ha fatto funzionare la chimica. Diamo quindi il via a questo corso che, insieme a tante altre associazioni, è uno dei modi che abbiamo sul nostro territorio per dare una mano, con l’obiettivo di fare sentire queste persone un po’ a casa, per quanto si riesca dopo tutto quello che hanno passato e che si prospetta nel loro futuro». Nei primi giorni sono state ottanta le persone che si sono annunciate e le richieste continuano ad arrivare. «Vedremo come gestire le possibilità reali – aggiunge don Emanuele –. È tutto da costruire come possibilità, materiali ma anche come aiuto: a volte pensiamo di avere capito cosa hanno bisogno, ma per riuscire a veramente costruirlo, sono coinvolti anche psicologi». Nelle scorse settimane l’oratorio ha effettuato anche una spedizione di alimenti per bambini e medicinali raccolti attraverso l’associazione ‘Un cuore a tre ruote’. «Con il corso, abbiamo implementato la presenza della consegna della spesa a casa per le famiglie ticinesi bisognose: man mano che la situazione si assesterà, eventuali situazioni con bisogni particolari possono esserci segnalate – conclude don Emanuele –. Sentiremo inoltre anche le altre associazioni con le quali abbiamo sempre lavorato bene e concordato questo corso».