Luganese

Lugano, 47enne abusò di una coetanea ubriaca: condannato

Quindici mesi sospesi per due anni a un uomo che l’anno scorso costrinse a un rapporto orale una conoscente alterata dall’alcol

La donna non ricordava nulla
(Ti-Press/Archivio)
27 luglio 2022
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«Una gran brutta storia squallida» – come l’ha definita l’avvocata Demetra Giovannettina –, quella avvenuta nella notte del 20 giugno 2021 a Pregassona. Alla sbarra, un italiano di 47 anni residente nel Luganese, condannato per essersi approfittato di una donna fortemente ubriaca, facendosi praticare una fellatio in un parcheggio. Oggi, la Corte delle assise criminali di Lugano, presieduta dal giudice Siro Quadri, ha inflitto all’imputato una pena di 15 mesi sospesi condizionalmente per due anni per atti sessuali con persone inette a resistere.

Un tragitto innocuo, un uomo pericoloso

Quella notte la donna, oggi 50enne, dopo essersi divertita insieme agli amici, avendo bevuto diversi drink ha deciso di tornare a casa. Un suo amico le ha chiamato un taxi, dal quale lei è poi scesa per proseguire a piedi. Ma, come evidenzia Giovannettina, «i pericoli possono manifestarsi anche a Lugano, in un tragitto innocuo, e avere la faccia di un padre di famiglia come l’imputato». L’uomo infatti, alla guida della propria vettura, si è fermato vedendo un’autostoppista. La donna è salita, con passi incerti, a bordo dell’automobile e lì i due si sono riconosciuti. Infatti, si conoscevano già perché frequentavano entrambi gli stessi bar. L’imputato si è reso conto che la conoscente era ubriaca (dalle analisi è infatti emerso che la vittima aveva un tasso alcolemico compreso tra 1.31 e 2.71) e si esprimeva sbiascicando. L’ha poi accompagnata fino a pochi passi dal di lei domicilio. La 50enne è scesa dall’auto barcollando e tentando di appoggiarsi al portellone del baule è caduta a terra. Ed è da lì che la situazione è degenerata. L’uomo, avvicinandosi per aiutarla a sollevarsi da terra, ha colto l’occasione per calarsi i pantaloni e le mutande per farsi praticare una fellatio dalla donna, prima seduta e poi sdraiata a terra, sino a raggiungere l’orgasmo sul suo petto, le cui tracce sono rimaste sulla sua maglietta. L’imputato si trovava a cavalcioni sopra di lei, e con una mano le sorreggeva la testa. A riprova dello stato alterato della vittima, come sottolineato anche dalla procuratrice pubblica Pamela Pedretti, durante l’atto si è perfino rivolta all’uomo chiedendogli: "Chi sei?". I due si sono poi salutati e ognuno è andato per la propria strada, chi consapevole delle proprie azioni, chi ignaro delle azioni subite. La donna, infatti, il giorno dopo non ricordava nulla, tranne che un breve flash di lei sdraiata per terra con un uomo sopra e delle chiazze sulla maglia. Così si è recata all’Ospedale Civico per chiedere aiuto, dove è stata visitata dai medici e dalla Polizia scientifica e ha preso avvio l’inchiesta.

‘Un oggetto sessuale in carne e ossa’

«Quando ci incontravamo c’erano già state battutine a sfondo sessuale – si è giustificato l’uomo in aula –, e anche quella sera durante il tragitto ci sono stati segnali di un interesse reciproco. Nel parcheggio ci siamo trovati l’uno di fronte all’altro e dal suo sguardo ho colto che fosse consenziente, così ho abbassato i pantaloni e c’è stato l’atto orale. Non abbiamo parlato, non c’è stata nessuna richiesta da parte mia e nessun rifiuto da parte sua. Per vergogna o per paura non ho saputo subito dire la verità. A quei tempi ero sposato e non volevo che mia moglie venisse a saperlo. È stato un gesto di debolezza». «L’imputato aveva perfettamente compreso che con lei in quello stato poteva fare o meglio farsi fare quello che voleva – la tesi, invece, della pp durante la requisitoria –. Se lei fosse stata interessata ci sarebbero state attenzioni rivolte anche verso la donna, un bacio per esempio. Mentre lui l’ha solo usata e ha approfittato della situazione. Altro che gesto di debolezza, il suo è stato un gesto egoistico. L’ha fatta diventare il suo oggetto sessuale e sa bene di aver approfittato della sua ubriachezza». Inoltre, Pedretti ha dichiarato che l’imputato avrebbe continuato a mentire durante l’inchiesta se non fosse stato trovato il Dna sulla maglietta della vittima. La pubblica accusa ha dunque chiesto 20 mesi sospesi condizionalmente per una durata di due anni. Proposta alla quale si è affiancata Giovannettina, legale dell’accusatrice privata, secondo cui l’imputato avrebbe approfittato «dell’abbandono, della perdita di controllo e della vulnerabilità della donna con un riflesso sbagliato, ovvero un’occasione di sfogo per imporre alla vittima il proprio piacere. Le giustificazioni dell’imputato sono assolutamente banali e inconsistenti messe insieme per proteggere sé stesso. Se lei avesse voluto veramente fare qualcosa con lui lo avrebbe invitato a casa sua, lì a pochi passi. Inoltre, egli le teneva la testa come se tenesse in mano un oggetto sessuale in carne e ossa». L’avvocata ha poi ricordato che l’assistita stava seguendo una farmacoterapia a causa di una depressione: un’aggravante. Come risarcimento morale ha infine chiesto 8’000 franchi.

«Il tasso alcolemico non comprova una totale incapacità di discernere, e la donna è abituata a ‘sbevacchiare’ spesso. Inoltre, la sua corporatura robusta, porta a ipotizzare che la stessa regga piuttosto bene l’alcol – ha dichiarato l’avvocato della difesa Mattia Guerra –. Inoltre, l’imputato riteneva che l’accusatrice privata nutrisse un interesse nei suoi confronti e di agire quindi con il suo consenso. Non si può neanche escludere che sia stata lei a prendere l’iniziativa siccome l’alcol tende a disinibire. Non vedo la persona che è stata descritta, vedo piuttosto un imputato impacciato che si è vergognato per ciò che ha fatto. Si è scusato anche con la donna, ma questo non costituisce un’ammissione di colpevolezza». La difesa ha quindi chiesto il completo proscioglimento, respingendo le richieste di risarcimento.

Il verdetto finale: ‘Una freddezza inaudita’

«La Corte – ha spiegato il giudice durante la lettura della sentenza – ritiene che la vittima non voleva quello che è successo. Lei non ha fatto nulla di male, ha solo avuto la sfortuna di incontrare qualcuno che voleva farle del male e che l’ha segnata per sempre. A lei la Corte riconosce il pregio del coraggio nel raccontare, proteggere sé stessa, e altre vittime e i diritti che la legge riconosce a ognuno di noi. L’imputato ha dimostrato una freddezza inaudita, solo per scopi egoistici». Ma, secondo il giudice, l’elemento più importante che determina la chiara e inevitabile situazione di inettitudine a resistere è stata la caduta, alla quale è subito seguito l’atto. «La vittima era gravemente alterata dall’alcol e bisognosa di aiuto, per questo è impossibile che in quello stato abbia lanciato dei segnali. La mancanza di rispetto è evidente, il danno provocato è ingente». Quadri, stabilendo un risarcimento di 1’000 franchi, ha infine evitato l’espulsione dell’imputato, riconoscendogli il caso di rigore in virtù dei forti legami con il territorio elvetico.