Gli imputati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere sul tentato colpo alla Raiffeisen di Monteggio del 2016 e sulla rapina a un distributore
Erano loro o no? «Il numero delle targhe, gli orari, le coincidenze dei vestiti, non possono essere indizi casuali. L’unica lettura possibile è quella esposta dalla pubblica accusa». Così hanno sentenziato i giudici della Corte delle assise criminali di Lugano chiamati a pronunciarsi sulla tentata rapina a mano armata avvenuta il 5 dicembre 2016 alla banca Raiffeisen di Molinazzo di Monteggio e sulla rapina perpetrata il 20 dicembre al distributore di benzina Piccadilly di Novazzano, colpo, quest’ultimo, riuscito per un bottino di 7 mila franchi. Sul banco degli imputati: un 48enne di Busto Arsizio e un 54enne di Cantù, i quali si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.
I due imputati sono stati riconosciuti colpevoli di rapina aggravata, siccome compiuta in banda, e condannati a 3 anni e 8 mese di carcere e all’espulsione dalla Svizzera per 12 anni. Per la Corte l’arma utilizzata nei due colpi era la stessa e per i giudici era vera. Solo il pulsante d’allarme premuto dall’impiegato di banca ha fatto desistere i due rapinatori, «che hanno scelto di vivere nella malavita» - ha sottolineato il giudice Mauro Ermani, presidente della Corte.
«Tutti gli indizi portano ai due imputati: immagini di videosorveglianza, tabulati telefonici, lettore di targhe delle auto rubate». Così il procuratore pubblico, Zaccaria Akbas, in mattinata ha sottolineato nella sua requisitoria nei confronti dei due cittadini italiani. Il magistrato ha ricostruito passo a passo, grazie alle numerose tracce lasciate dai due, i due colpi, in buona parte grazie alle celle attivate dai loro telefonini cellulari i cui numeri sono stati scoperti dagli inquirenti. Anche gli impianti di videosorveglianza passati al setaccio hanno consentito di risalire con precisione ai diversi spostamenti compiuti dai due accusati. E poi tanti indizi, tra cui la felpa nera con la scritta "My" indossata dal 48enne e dal vistoso tatuaggio sul collo con le iniziali della moglie. «Le prove sono schiaccianti. Non capisco, come gli imputati possano non ammettere i fatti» - ha osservato il pp Akbas. E poi c’è quella pistola utilizzata con la mano sinistra dal mancino 48enne, agendo in modo pericoloso: in qualsiasi modo poteva partire un colpo sia in banca sia al distributore di benzina. Nell’atto d’accusa anche l’aggravante della banda, dal momento che hanno agito in due e non singolarmente. Ripartizione dei ruoli, la disponibilità ad essere pronti a tutto, un liquido infiammabile con loro, denotano - ha evidenziato il magistrato - particolare pericolosità.
Non trascurabili i precedenti penali dei due imputati, che pochi giorno dopo, oltretutto, in Austria hanno commesso un’altra rapina. Se non fossero stati rintracciati in Francia avrebbero continuato a delinquere - ha osservato il procuratore pubblico, che ha aggiunto: «Hanno agito per mero scopo di lucro. A Novazzano i due hanno inoltre minacciato e rinchiuso una cliente e la commessa nell’ufficio cambi nel colpo compiuto a Novazzano». Il pp, tenendo conto dei 4 anni già espiati in Austria, ha chiesto per entrambi gli imputati: 4 anni e 2 mesi di carcere e l’espulsione dalla Svizzera per 15 anni. I due imputati, per una rapina compiuta in una banca in Austria nel gennaio 2017 e costata loro una pena di 8 anni hanno già scontato 4 anni di detenzione per poi essere trasferiti alla Farera di Cadro.
L’avvocato, David Simoni, in difesa del 48enne di Busto Arsizio, ha evidenziato come si sia di fronte a un caso indiziario e ha invitato implicitamente la Corte a non trarre facili conclusioni di colpevolezza, per il solo fatto che l’imputato si è avvalso del diritto di non rispondere e che la sua fedina penale è fitta di precedenti per rapina. E se la rapina fosse stata compiuta da una terza persona? In via principale il legale ha chiesto l’assoluzione. Subordinatamente, in caso di giudizio di colpevolezza, l’avvocato ha chiesto una massiccia riduzione di pena, chiedendo di omettere l’aggravante, dal momento fra l’altro che l’arma usata poteva essere finta, tale era infatti nel colpo compiuto in Austria. Identica conclusione, quella prospettata dall’avvocato Marilisa Scilanga, in difesa del 54enne di Cantù. La legale ha messo inoltre in rilievo diversi dubbi nell’accertamento dei fatti. Dalle immagini di videosorveglianza relative ai due colpi - ha sottolineato la legale - i due autori hanno agito in modo autonomo e per nulla pianificato. L’arma inoltre non è stata ripresa dalle immagini. Contestata anche, a mente della difesa, la poca chiarezza delle immagini prospettate dall’inchiesta per corroborare gli indizi, dal numero delle targhe all’uso delle armi. «La ricostruzione lascia aperti dubbi e situazioni non chiare e gli orari non combaciano». Una conclusione che la Corte non ha accolto.