Oltre 200 soci dell’associazione Domus Antiqua Helvetica attesi nel 2023. Il presidente sezionale Gianfederico Pedotti: ‘Occasione per conoscerci’
Buone notizie sul fronte del turismo congressuale a Lugano. Manca ancora più di un anno ma Domus Antiqua Helvetica l’ha già ufficializzato: la più grande città ticinese nel 2023 ospiterà l’assemblea generale dell’Associazione svizzera dei proprietari di case antiche. A confermarcelo è Gianfederico Pedotti, presidente della sezione cantonale dell’associazione, che dal 1984 si batte per valorizzare gli edifici storici in Svizzera e sostenere i privati che devono gestire un patrimonio importante, ma non di rado impegnativo.
«L’assemblea si tiene una volta all’anno in un cantone diverso – spiega – con una partecipazione fra le 200 e le 300 persone». Un intero finesettimana durante il quale discutere di problematiche comuni, ma anche effettuare delle visite culturali: «In Ticino, esiste un’importante concentrazione di edifici storici, privati, pubblici e religiosi, degni di interesse e assai differenti, secondo le loro caratteristiche architettoniche e costruttive, da quelli a Nord delle Alpi. Certamente ci sarà molto da vedere». E l’assemblea sarà anche l’occasione per farsi conoscere meglio dai ticinesi. Pur essendo una questione che tocca direttamente molte persone, la sezione ticinese conta ancora pochi soci: 35. Molti di più a livello nazionale: 1’500. D’altra parte la sezione ticinese esiste da soli due anni, «ma esistevamo già da tempo come in quanto Gruppo ticinese di Domus Antiqua Helvetica» precisa Pedotti.
E in questi primi due anni di vita, cosa è stato fatto? «La pandemia purtroppo ha bloccato molto le nostre attività. Organizziamo due volte all’anno un incontro dei membri, articolati attorno a visite di edifici privati di interesse storico, convocando spesso degli esperti che ci diano delle spiegazioni su aspetti di natura storica, architettonica e culturale. Andiamo anche a visitare delle istituzioni culturali pubbliche (musei o collezioni ad esempio, ndr). Inoltre, l’associazione distribuisce ai membri dei bollettini informativi due volte all’anno, che trattano di tematiche puntuali: dai materiali di costruzione ai restauri, passando per le questioni giuridiche ed ereditarie. Si cerca di dare informazioni utili a chi ne ha bisogno». Lo scopo di Domus Antiqua infatti è impegnarsi per la conservazione e la valorizzazione degli edifici storici degni di protezione e appartenenti a privati. «Possono essere di diverso tipo: case urbane o di campagna, chalets, ville, castelli. Tutto ciò che costituisce la nostra eredità culturale e che dà vita al concetto di entità culturale, nel campo della costruzione».
E di consulenze, per chi ha l’onore e l’onere di gestire questo tipo di patrimonio, c’è sempre bisogno, corretto? «Esatto. Ad esempio nella campo della ristrutturazione cerchiamo di consigliare che tipo di architetto scegliere o le tecniche di restauro più adatte al tipo di edificio. Non è solo la costruzione che va salvaguardata, ma anche la sua anima! Poi una questione attuale è legata agli aspetti energetici. Si tratta di un problema molto rilevante per le case antiche, perché conviene far convivere la salvaguardia dell’edificio stesso con le esigenze tecniche e ambientali. Oppure aspetti più puntuali, come la costruzione di un ascensore per esempio, possono rivelarsi problematici e ciò che per una casa moderna è relativamente semplice, diventa più difficile per le case storiche». L’associazione consiglia anche su enti e fondazioni utili per i proprietari. «Curiamo anche i rapporti con la Confederazione, con gli Uffici cantonali dei beni culturali, o con enti specializzati come Heimatschutz o la Società di storia dell’arte in Svizzera: sono molto importanti, perché offrono un indispensabile sostegno».
Sono circa 40 i milioni di franchi di sovvenzioni elargite ogni anno a favore dei circa 2’400 oggetti, privati inclusi, degni di protezione repertoriati in Svizzera. E queste case sono necessariamente dei beni culturali protetti? «No, non necessariamente. Esistono sono delle linee direttrici, che però sono indicative: bisogna affrontare le questioni ‘cum grano salis’. Ad esempio, per diventare socio, un privato dovrebbe essere proprietario di una casa che abbia almeno 150 anni. Visti i tempi, i pericoli che minacciano le case storiche, siamo comunque aperti a considerare costruzioni più giovani, ma che siano il riflesso di una tipologia costruttiva tipica. Certe case in stile eclettico di fine Ottocento o quelle novecentesche di Le Corbusier, ad esempio, sono più giovani ma hanno una particolarità tale da esser prese in considerazione», osserva il presidente.
Ma quanto sono effettivamente in pericolo, a causa di eccessiva edificazione, di incuria o di altre problematiche, le case storiche in Svizzera? «La problematica è complessa. Bisogna però ammettere che in Svizzera gli edifici storici di qualsiasi tipologia sono generalmente molto ben conservati dai loro proprietari. E ciò è evidente soprattutto nel confronto con altri Paesi. In Svizzera, il senso della manutenzione periodica e regolare è particolarmente elevato. Tuttavia, bisogna vigilare affinché non si verifichino dei patchwork poco piacevoli che danneggerebbero le case storiche e l’aspetto dei nuclei in generale a causa di una certa tendenza al funzionalismo e a quella in atto di costruire in maniera molto concentrata nei centri cittadini. Inoltre, i fondi della Confederazione potrebbero essere più generosi, vista la complessità delle problematiche trattate. Nel nostro dialogo con le autorità e con gli enti responsabili cerchiamo infine di sensibilizzare affinché leggi e regolamenti nell’ambito dei restauri non siano eccessivamente invasivi: finirebbero per essere più nocivi che d’aiuto e potrebbero portare il proprietario a rinunciare al restauro».
Ma alle sfide del presente se ne aggiunge una, vitale, per il futuro. «A livello nazionale, una grossa incognita è quella della ‘next generation’: cercare di coinvolgere o ‘arruolare’ il maggior numero possibile di giovani, potenziali eredi o garanti di questo patrimonio e non è semplice, viste le difficoltà comportate. Si tratta forse anche di una questione di interesse: non sempre i giovani sono attirati dal fascino delle vecchie case e dall’importanza del loro mantenimento». Non si potrebbe, per far maggiormente conoscere l’associazione, aprire le porte alle sue attività di tipo divulgativo? «Già ora qualsiasi persona interessata alle finalità della nostra associazione o che desiderasse portare la propria esperienza, può iscriversi come membro sostenitore. Ed effettivamente cerchiamo di coinvolgere la popolazione nelle nostre attività: un paio d’anni fa abbiamo organizzato un incontro con i residenti dello storico quartiere San Giovanni a Bellinzona, stabilendo nuovi e interessanti contatti. Le nostre porte sono aperte e le opportunità di collaborare non mancano».