Julia-Sophie e Ilya, appena diciottenni, hanno lanciato una piattaforma sul mondo del lavoro, JobSeeker Switzerland
Si presentano puntuali alla nostra intervista, anzi con cinque minuti di anticipato. E solo per questo si meriterebbero un applauso, in tempi dove la puntualità è un optional e l’educazione pure. Ma Julia-Sophie Rüegsegger e Ilya Lobanov hanno ben più di un motivo nel ricevere complimenti. Appena diciottenni hanno lanciato una start-up sul mondo del lavoro, JobSeeker Switzerland. Sottotitolo: creando opportunità per giovani (fra i 13 e i 18 anni) e imprese. E se il sito è già una realtà dallo scorso agosto («in una settimana avevamo già una ventina di iscrizioni»), all’orizzonte vi è un’applicazione e la volontà di espandersi, fra il 2022 e il 2023, a tutta la Svizzera (in un futuro si potrebbe parlare anche d’Europa). In due parole, utilizzando un anglicismo, ‘smart people’ (persone brillanti).
Eppure non è stato facile concretizzare quello che all’inizio era un sogno fra compagni di liceo: «Difficoltà? Soprattutto il bilanciare questo impegno con la vita privata e sociale, e con la scuola. Spesso diventa pesante, è necessario sacrificare sonno e amici, così da concentrarsi con impegno sulla costruzione e la valorizzazione di questa piattaforma» prende la parola Ilya, fondatore e ceo. Per Julia-Sophie, coo, soprattutto «il non venir presi sul serio». Il riscontro, giusto lo scorso mese di settembre, quando hanno preso parte alla Boldbrain Startup Challenge, attraverso cui sono state selezionate, fra 148 candidature, le venti imprese più innovative ed emergenti della Svizzera: «Siamo i più giovani, fra magari cinquantenni, con grande esperienza e precedenti startup, diversi ingegneri, arrivati con business plan di cinquanta pagine. Magari temono che vogliamo portare via al lavoro a qualcuno, ma i giovani non sono il futuro?».
Un destino che si costruisce, peraltro, attraverso un mestiere, un’occupazione. Ilya, origini russe, ma cresciuto in Ticino, dopo aver frequentato la scuola media alla Tasis di Montagnola ora studia al Collegio Papio di Ascona: «Qui ho conosciuto prima di tutto l’italiano e poi il contesto urbano osservandolo da una diversa prospettiva. Volendo lavorare come giovane studente durante l’estate, pur vedendo molte opportunità, mi sentivo rispondere ‘lascia il tuo numero, lascia la tua mail, ti richiamiamo, io non posso prendere queste decisioni’, ma nessuno mi ha mai richiamato... Da lì mi sono dedicato a questo progetto, ovvero connettere i giovani che vogliono lavorare con dei datori di lavoro. Molti giovani magari non hanno neppure il coraggio di presentarsi in un ristorante o in un albergo con un curriculum vitae, e li capisco». Anche Julia-Sophie ha avvertito quel ‘muro’ che separa le nuove generazioni da un’occupazione, seppur part-time. Eppure era stata spronata anche dai genitori: «Mia mamma è olandese. Nella loro cultura si comincia a fare qualche lavoretto già a 13 anni. Lavori e ti guadagni i tuoi soldini, così da essere fiera di te stessa. A 14 anni ho cercato così anch’io un lavoro estivo, ma non ci sono subito riuscita. Sono stati loro che mi hanno aiutata. All’inizio pensavo ‘non ne ho voglia, ho altre cose da fare’, poi invece ho avuto molte soddisfazioni perché si possono imparare un sacco di cose. Quando finisci, infatti, la scuola media pensi di sapere tutto, che possiamo fare quello che vogliamo. Invece, quando cominci a lavorare, molto è diverso dalla teoria, da quanto impari a scuola. Ti siedi al tavolo con degli adulti con cui puoi parlare di cose che magari a scuola non hai mai l’occasione».
JobSeeker potrebbe, dunque, essere il canale giusto che tanti giovani (e famiglie) aspettavano: «È un’opportunità, per esempio, oltre che per imparare qualcosa di nuovo, anche di confrontarsi con mestieri e professioni diversi, dal ristorante al baby sitting, dalla supervisione in case di vacanza all’ufficio, all’aiuto per persone sole, così poi da arrivare, dopo le superiori, ad avere almeno un’idea di cosa andare a studiare» evidenzia ancora Julia-Sophie, che aggiunge «spesso un datore di lavoro non dice subito di sì a un giovane che si presenta all’azienda, e questo perché tanti fra di loro non hanno esperienza. Così abbiamo pensato di cercare di connettere le entità scolastiche ticinesi con un datore di lavoro offrendo agli studenti dei workshop dove imparano, per esempio, come rispondere a un telefono, come vestirsi, come scrivere un cv, cose basilari ma non scontate e comunque importanti, come l’apparecchiare una tavola. Ottenendo poi un certificato è possibile recarsi da un datore di lavoro con una prima seppur basilare esperienza. Anche perché per le stesse imprese spesso conviene prendere un giovane, una situazione win-win per tutti e due: costi più contenuti per il datore di lavoro e la possibilità di fare esperienza per i giovani. Per questo siamo alla ricerca di un maggior supporto da parte delle scuole».
La strada è, quindi, indicata e sostenuta, per arrivare ai giovani, soprattutto dal passaparola e dai social. Diverso il discorso per le imprese: «I datori di lavoro cerchiamo di incontrarli di persona; le mail, infatti, le ignorano, le chiamate non funzionano perché non puoi ‘vendere’ questo progetto in pochi minuti, così ci presentiamo nelle loro sale d’aspetto, incontriamo i manager, vedono che seppur giovani abbiamo un progetto che può interessare loro» non manca di rimarcare Ilya. Una piattaforma che vuole essere ‘trasparente’: «Tutto è aperto, sia per i datori di lavoro sia per il ragazzo, entrambi possono vedere o mostrare come si lavora all’interno di un’impresa, e come il ragazzo stesso ha lavorato. In un formulario vengano indicati dei dati, come per esempio sapere se il ragazzo ha rispettato l’orario di arrivo, se si è presentato, dopo aver fatto festa la notte prima, con l’odore di alcol; ma la stessa cosa vale anche per le aziende i cui collaboratori devono essere rispettosi verso i giovani o per i loro contratti che possono essere pubblicati e così letti e spiegati insieme ai giovani. Ciò permette ai ragazzi di sentirsi in un ambiente sicuro e ai genitori dei più giovani di provare sicurezza. Vogliamo creare una comunità, non vogliamo dare un lavoro ai ragazzi e poi dimenticarceli. Su questa piattaforma la possibilità è quella di imparare nell’ambito del lavoro part-time, ma poi anche di ritrovarsi in un gruppo, di condividere un progetto».