In aula si è presentato solo un componente della banda che ad aprile 2019 ha sottratto diverse collanine. Pene dai 9 ai 6 mesi sospesi
«Venivano in Ticino da Genova solo per rubare collanine a chi si stava divertendo in discoteca». Erano attesi in tre questa mattina davanti alla Corte delle Assise correzionali di Lugano, gli stessi che non si erano presentati in aula lo scorso mese di settembre. Alla fine solo uno di loro, un 26enne ecuadoregno, si è presentato. «Io non sapevo che gli altri rubassero. Facevo solo da autista per guadagnare qualche soldo e aiutare la mia famiglia. Durante le serate infatti restavo fuori dai locali a dormire in automobile», si è giustificato l’uomo. Una versione alla quale il giudice Siro Quadri non ha creduto, condannando il 26enne a 6 mesi sospesi e a 5 anni di espulsione dal suolo elvetico. «Si tratta di una banda organizzata, dove ognuno ha il suo ruolo. È impossibile che non fosse a conoscenza dello scopo dei viaggi in Svizzera», ha affermato il giudice prima di emettere la sentenza. A essere condannati sono stati anche gli altri due complici, reo confessi e attori materiali dei furti. A un 23enne italiano sono stati inflitti 9 mesi sospesi, mentre 8 ne sono stati comminati a un 21enne ecuadoregno. Entrambi non potranno entrare in Svizzera per i prossimi 5 anni.
I fatti risalgono alla primavera del 2019 quando i 4 complici, partendo dal capoluogo ligure, si recavano regolarmente in una discoteca del Luganese e in una del Locarnese. «Io facevo solo da autista. Gli altri volevano venire in Ticino perché qui ci si diverte di più e ci sono ragazze molto belle». Motivazioni ritenute poco credibili dalla pp Marisa Alfier: «Come se a Genova non ci fossero discoteche. Il loro agire era premeditato e finalizzato a mantenere i loro vizi, come il gioco d’azzardo». La difesa del 26enne, rappresentata da Xavier Meyer, aveva invece chiesto il proscioglimento, ritenendo l’uomo estraneo ai reati: «Non ha avuto intenzione di commettere furti e il bottino veniva diviso in parti uguali tra gli altri tre, mentre al nostro assistito veniva pagato solo il servizio di trasporto». In aula diverse domande si sono concentrate sulla sera del 28 aprile, quando la banda è stata fermata dalle forze dell’ordine prima che potesse far ritorno in Italia. «Sono partiti senza un componente del gruppo, evidentemente sapevano che c’era qualcosa che era andato storto», ha commentato la pp. Una versione che, come detto, è stata condivisa anche dalla Corte.