Il 22enne artista di strada è stato una presenza frequente nelle piazze luganesi negli ultimi mesi. Le riprese del suo tour diventeranno un documentario
Nelle piazze e vie di Lugano, come di altre città ticinesi, è stato una presenza fissa la scorsa estate. E si è fatto notare: di mimi se ne vedono pochi. Ma è anche un influencer da 900’000 follower su TikTok. È il 22enne Francesco Laganara, soggetto di un documentario che sta girando il regista svizzero Alan Koprivec, che ne racconterà mestiere e vita.
Quando hai deciso ‘farò il mimo’ da grande?
A dodici anni ero stato a Bari per Natale e mio zio si è esibito in giochi di magia che mi hanno molto colpito. Ho quindi iniziato a interessarmi studiando da autodidatta su libri, dvd, YouTube. Man mano che imparavo ho iniziato a fare giochi di magia ai compagni di classe, ai genitori. Alle scuole superiori a Bergamo (dov’è cresciuto, ndr) ho fatto cinque anni di teatro con Walter Tiraboschi. Da lì, mi sono interessato al mimo. Mi sono interessato al mondo dell’arte da strada partecipando al Sarnico Buskers Festival (Sbf). Mi è molto piaciuto perché la gente si ferma a guardarti perché veramente ti apprezza. E poi mi piace il fatto che diventiamo tutti uguali in piazza: dal banchiere al senzatetto, siamo tutti assieme allo stesso livello per goderci un momento.
Sei diventato anche mimo da autodidatta?
Sì. Dopo il diploma da tecnico turistico, sono andato direttamente a Barcellona. Uno dei miei sogni era fare un’accademia cinematografica, ma non avevo i soldi e quindi ho iniziato da autodidatta a fare l’artista di strada. Sono rimasto lì un anno e mezzo fra il 2018 e il 2019. Andavo direttamente a fare esperienza con gli altri mimi in strada, fino ad arrivare a fare spettacoli veri e propri durante matrimoni, cene aziendali e altri eventi. Oggi sono molto contento: posso dire di aver fatto la scelta migliore. Però desidero professionalizzarmi, perché penso che faccia sempre bene aumentare le proprie competenze e imparare altri tipi di arte. Per questo a novembre mi trasferirò a Roma per frequentare un’accademia per artisti circensi che dura due anni, il 2 ottobre ho l’audizione. Andrò a studiare danza, acrobatica, molte discipline, così da diventare un artista a 360°. Una volta finita quella, il mio desiderio è andare a Parigi e frequentare l’accademia per mimi che dura tre anni.
Hai un modello di riferimento?
Non ho un artista in particolare a cui mi ispiro. Prendo spunto da tutto quello che mi circonda e cerco di riadattarlo al mio stile. Ho conosciuto e visto artisti di ogni calibro e si può imparare sempre qualcosa. La cosa più importante secondo me per fare questo lavoro, come anche in generale, è essere curiosi e avere fame di imparare perché grazie a queste due qualità puoi veramente arrivare dove vuoi.
È una scelta particolare. La tua famiglia ti ha sostenuto?
Sono nato e cresciuto in una famiglia che mi ha sempre detto che fosse giusto sperimentare. Inizialmente non erano comunque entusiasti, mi consigliavano di trovare un altro tipo di lavoro e di fare l’artista di strada come attività secondaria. Quando sono venuti a vedermi all’Sbf, dove mi sono esibito di fronte a centinaia di persone, si sono resi conto che è il lavoro che amo e che mi piace fare e che fortunatamente mi riesce bene e mi permette di vivere adeguatamente. Ormai è da sei-sette anni che giro per l’Europa.
Si guadagna bene quindi?
Dipende. Generalmente ci sono le classiche offerte che si lasciano nel cappello. Oppure, partecipando a dei festival, si viene retribuiti dagli organizzatori che garantiscono anche vitto e alloggio. Il guadagno è sufficiente per vivere: nell’arco di un paio d’ore posso guadagnare anche l’equivalente di una giornata lavorativa intera in altri ambiti. Però la preparazione è tanta, è un mestiere che bisogna saper fare e poi i guadagni dipendono anche da dove si lavora e dalla tipologia di spettatori. Il periodo di lavoro in strada va da marzo a ottobre. Fra novembre e febbraio invece lavoro prevalentemente per eventi privati come matrimoni o cene aziendali. Inoltre sono molto attivo sui social, dove faccio pubblicità e sponsoring.
La prima volta in Ticino?
Un anno e mezzo fa. Ma ho girato molto in Svizzera (Zurigo, Berna, Basilea, Lucerna, ndr). Mi sarebbe piaciuto venire al Lugano Buskers Festival, ma purtroppo è stato annullato a causa della pandemia. Mi sono comunque esibito molto: a Lugano in piazza Dante, via Nassa, piazza Cioccaro e poi anche al Festival del film di Locarno, dove ho conosciuto il regista svizzero Alan Koprivec, che si è interessato alla mia storia e alla mia attività ed è partito con me in tour (quindici tappe, si terminerà a fine ottobre a Palermo, ndr) e realizzerà un documentario che sarà pronto nel 2022 e ci piacerebbe presentare anche a Locarno. Con il documentario mi piacerebbe sensibilizzare le persone, vorrei che venisse riconosciuta come professione. È in atto una campagna di crowdfunding per finanziare il documentario. Il progetto si chiama ‘Social Busker’ (www.indiegogo.com/projects/social-busker).
È vero che siamo più ‘freddi’?
Quello che dico sempre è che se qualcuno riesce a fare spettacolo in Svizzera, può farlo ovunque (ride, ndr). Ma credo sia una questione di abitudine più che di cultura. Il pubblico ticinese in particolar modo è molto abituato alla tranquillità. Io faccio un mestiere un po’ inusuale, interagisco con le persone, le abbraccio, scherzo e gioco. A Barcellona, per esempio, ancor prima di iniziare lo spettacolo avevo attorno a me duecento persone solo accendendo la musica. Quando mi esibisco a Lugano vedo che la gente spesso è molto di fretta, stressata, non riesce a godersi lo spettacolo. Gli spettacoli però vanno molto bene perché ho capito l’approccio che devo utilizzare in Ticino, scegliendo un altro tipo di musica per esempio. Forse il fatto che mi vedano spesso, ha permesso di abituarsi alla mia presenza e di sciogliersi un po’ e di divertirsi.
Sei sempre ben accolto?
No. Purtroppo mi è capitato di essere spesso spintonato o insultato dalle persone, come se fossero disturbate dalla mia presenza. Reagisco facendo finta di cadere o di fare una capriola. Non si può fare altrimenti, non sarebbe professionale. Facendo il mimo, comunque, s’impara a comprendere il linguaggio non verbale e a capire con chi si può giocare e con chi no. D’altra parte, devo dire però che molte persone, soprattutto donne, mi hanno ringraziato per aver portato un po’ di sorriso e di arte in questo periodo difficile.
La giornata tipo di un artista di strada?
Mi sveglio presto per poter fare tutte quelle cose di ‘back office’ ovvero mandare mail, pubblicare contenuti social, curare la parte più amministrativa. Dopo pranzo inizio a scendere in piazza e fare spettacolo fino a quando posso. E questo dipende da diversi fattori: se c’è gente, se il tempo lo permette, se sono stanco eccetera. Il bello di questo lavoro è che non ho un capo, sono indipendente e quindi posso gestirmi il tempo come voglio. Ovviamente però se non vado a fare spettacolo non guadagno (ride, ndr)!