Al corriere, che faceva parte di una banda, sono stati inflitti 30 mesi di prigione (sette da espiare). Resterà in carcere fino a inizio dicembre
È una storia inverosimile, con molti 'non ricordo', quella narrata oggi in aula penale dal giovane albanese accusato di traffico di eroina e cocaina. Il 26enne imputato, per dirla con la procuratrice pubblica Pamela Pedretti, non la racconta giusta. Meglio, non l'ha mai raccontata giusta, nemmeno durante l'inchiesta. Di fronte a Siro Quadri, presidente della Corte delle Assise criminali di Lugano (giudici a latere Renata Loss Campana e Aurelio Facchi), è parso titubante, probabilmente per paura di ritorsioni quando uscirà di prigione. L'accusa, sostenuta dalla procuratrice, è convinta che l'uomo sia soltanto una pedina della banda di albanesi attiva nel traffico di stupefacenti in Svizzera, in particolare eroina e cocaina: «Il ruolo dell'imputato era quello di corriere, purtroppo verrà sostituito da qualcun altro».
A carico del 26enne ci sono oltre sette etti di droga trasportati in nove occasioni, in meno di due mesi. Inevitabile, la condanna. La Corte gli ha inflitto una pena di 30 mesi di reclusione, di cui sette da espiare, da dedurre il carcere sofferto, e l'espulsione dalla Svizzera per sette anni. L'uomo sarà pure segnalato al Sistema d'informazione di Schengen. Il processo è parzialmente indiziario, ha spiegato il giudice, ma gli indizi e sette etti di droga, indicati nell'atto d'accusa, rappresentano un quantitativo fatto proprio dalla Corte.
All'inizio del dibattimento, il giovane ha raccontato di essere arrivato in Svizzera con un'auto noleggiata proveniente dalla Germania. Al momento dell'arresto, nelle sue tasche c'era la chiave di una camera d'albergo, dove la polizia aveva trovato un'altra persona che l'imputato dice di non conoscere, sostenendo che l'hotel era stato pagato da amici connazionali. Al giudice ha detto di aver cercato lavoro in Svizzera nel settore edile ma senza fare regolare domanda di permesso perché «è inutile». Era residente in Svizzera tedesca, in Ticino si è recato per trasportare qualcosa ma sostiene di non sapere cosa stesse trasportando: «Erano piccoli pacchetti che recuperavo, nascosti in precedenza da qualcun altro. Il luogo mi veniva indicato tramite Gps». Veniva pagato dopo i viaggi ma non sa dire da chi: «Erano persone con la maschera a Lugano».
Dall'ultimo viaggio effettuato in Ticino prima dell'arresto, avrebbe ricevuto un compenso fra i 400 e i 500 euro, ma il suo racconto non è credibile, ha ribadito Pedretti che al termine della requisitoria ha richiesto una pena di 32 mesi, di cui 8 da espiare, il resto della pena sospeso con la condizionale per due anni, e sei anni di espulsione dalla Svizzera. Secondo la difesa, sostenuta dall'avvocato Christopher Jackson, l'imputato aveva invece lo scopo di sostenere la sua famiglia in Albania, non è sicuramente un pezzo grosso dell'organizzazione ed è incensurato. Nell'arringa, il legale ha contestato le quantità di droga trasportate e il numero di viaggi effettuati in Ticino e ha chiesto una condanna più mite rispetto a quella richiesta dall'accusa: la scarcerazione immediata dell'imputato e non più di 18 mesi di carcere integralmente sospesi con la condizionale, dedotta la detenzione sofferta dal 26enne (è in prigione dallo scorso 7 aprile e in carcerazione di sicurezza dal 21 giugno). Al termine del processo, l'uomo si è scusato: «Non succederà mai più, tornerò in Albania dalla mia famiglia».