Luganese

L’ex allenatore dell’Hcl ‘creava un ambiente perverso’

Si è conclusa la fase dibattimentale del processo a carico del 57enne pedofilo. L'accusa chiede 8 anni, la difesa 3 e mezzo. Domani la sentenza.

Il processo andrà a sentenza domani (Ti-Press)
1 giugno 2021
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Un bugiardo, un manipolatore. Un predatore sessuale che andrebbe condannato a otto anni di carcere. Oppure una pedofilo sì, ma profondamente pentito di quanto fatto e con una scemata imputabilità che giustificherebbe una forte riduzione di pena. Sono molto distanti le posizioni di accusa e difesa nel processo al 57enne ex aiuto allenatore delle giovanili dell'Hockey Club Lugano, a processo per aver violentato il figlio quando questi era bambino e molestato altri ragazzini, conosciuti a causa del suo impegno nella squadra.

‘Non vuole veramente affrontare la sua pedofilia’

Si è conclusa infatti da poco la fase dibattimentale alle Assise criminali di Lugano. Dapprima la procuratrice pubblica ha evidenziato i principali punti a sostegno dell'impianto accusatorio. «Le sue versioni mancano di linearità, di costanza, si è contraddetto su ogni tema che gli è stato sottoposto – ha detto Chiara Borelli –. Ha mentito sui filmati, sull'alcol, sui contatti sessuali. Ha più volte detto di non ricordare singoli episodi, ma il perito non ha evidenziato alcun problema con la memoria. Ha sfruttato il legame di sangue con i propri figli in modo manipolatorio, inducendoli al silenzio». Secondo la pp inoltre, sebbene l'imputato stesso abbia ammesso di seguire una terapia e di volerla continuare, «non vuole veramente affrontare il suo problema di pedofilia. In fase d'inchiesta non ha voluto rivedere i filmati pedopornografici che gli sono stati trovati, né spiegare perché li classificasse. E nulla sappiamo delle sue pulsioni attuali. Eppure la perizia consiglia medicamenti per ridurre la libido. Manca un'assunzione di responsabilità, anzi più volte con le sue dichiarazioni ha voluto responsabilizzare i bambini, dando quasi loro la colpa dell'accaduto».

L'accusa: ‘Creava un perverso ambiente abusante’

La procuratrice ha focalizzato poi l'attenzione su quelle che sono le due vittime principali dell'ex municipale di Canobbio: il figlio e uno dei ragazzini conosciuti nell'Hcl, iniziando da quest'ultimo. «Era diventato un amico di famiglia, quasi un secondo papà. Lo ha aiutato nello sport, nella scuola, è vero. Ma poi con lo scherzo, con il gioco, si è insinuato il sesso. Ed era un ragazzino di 13 anni all'epoca dei fatti, non aveva gli strumenti per capire come gli sia stata costruita attorno la rete e come lui ci sia rimasto chiuso dentro». Secondo la ricostruzione, l'imputato è riuscito a ricreare con il ragazzino lo stesso «perverso ambiente abusante già creato col figlio, diventando l'idolo, la persona di riferimento». Una replica di quanto già accaduto con il figlio in sostanza, una decina di anni prima – siamo nel 2001 –, quando il bambino aveva solo 9 anni. «Ha agito in maniera abietta, su più anni. Non gli è bastato un figlio, ha dovuto cercarne un altro. Sottolineo come vi siano nell'atto d'accusa più di una decina di penetrazioni e un'abbondanza di rapporti orali. E il Tribunale federale ha paragonato più volte i rapporti orali per gravità a una violenza carnale».

Le vittime non si sono costituite accusatori privati

Con gli amici del 13enne, che venivano a casa dell'imputato a giocare, bere alcol e guardare film porno, «gli atti sono stati meno invasivi, ma sono tuttavia da considerarsi atti sessuali su minori». E il fatto che oggi non ci siano accusatori privati «non mi sorprende: sono ragazzoni, non vogliono passare per vittime, vogliono dimenticare». Poche le attenuanti, se non «una brutta violazione del principio di celerità, e come Ministero pubblico me ne scuso. Avrei chiesto una pena fra i 10 e gli 11 anni, oggi trovo misurata una richiesta di 8 anni». Una richiesta «sproporzionata» per l'avvocato Roberto Rulli, che a sua volta si è focalizzato su tre punti: «Non esistono accusatori privati; i reati più gravi, quelli sul figlio, sono successi vent'anni fa; l'imputato è stato rimesso in libertà due anni fa». Il difensore ha sottolineato che l'unica vittima che si era costituita accusatore privato è stato il figlio, che si è tuttavia disinteressato del procedimento e non ha risentimenti verso il padre. Gli altri nessuno».

La difesa: ‘Ha subito emarginazione sociale e linciaggio mediatico’

E a denunciare l'uomo non sono stati i ragazzi, ma l'ex fidanzato della figlia «una settimana dopo la fine della relazione». La vicenda infatti era emersa già un annetto prima in famiglia, dopo che sempre il denunciante ha ritrovato in casa dell'imputato un filmino sospetto. Rulli ritiene inoltre che «il processo di oggi ha perso gran parte della sua importanza. I periti hanno stabilito che il pericolo di recidiva negli anni è diventato minimo grazie alle terapie, ha già espiato due anni e sette mesi in carcere, ha un forte senso di colpa per quanto commesso, non è scappato, anzi ha subito l'emarginazione sociale e il linciaggio mediatico, e non ha molestato altri bambini». E in effetti ha ricordato sempre il legale «a inizio inchiesta si pensava fosse un caso simile ad altri in ambiti sportivo-scolastici (quindi con numerose altre vittime, ndr), ma sono stati organizzati incontri, sentiti testimoni, e non è emerso nulla». Ma soprattutto, «gran parte degli atti sessuali col figlio sono prescritti».

‘Non coazione ma atti sessuali’

Secondo la difesa anche il reato di coazione sessuale nei confronti del 13enne dovrebbe essere derubricato ad atti sessuali, perché «non c'è stata costrizione, neppure nella forma della pressione psicologica. La coazione è un atto coercitivo, si deve andare oltre il rifiuto. La coazione di natura psichica deve essere il risultato di una situazione creata dall'autore, non basta che ci sia una situazione favorevole all'accusato e che quest'ultimo la sfrutti». Per l'accusa la coazione sarebbe data, fra le altre cose, da dei messaggi che l'imputato ha inviato all'adolescente dopo che quest'ultimo ha smesso di frequentarlo. «Tutti questi messaggi sono posteriori agli atti sessuali. Se in quel frangente ci può effettivamente essere stata una pressione – per la difesa invece –, non c'è un nesso di causalità perché gli atti sessuali erano terminati. Non sono stati utilizzati per ricattare sessualmente il ragazzo, sebbene ci sia stato un coinvolgimento emotivo».

‘Si è messo nei loro panni perché è immaturo’

Stessa linea anche per il figlio e gli altri ragazzi: «Sì, è vero che ha approfittato del fatto che era il punto di riferimento principale per il figlio, ma non è una situazione che ha creato o strumentalizzato lui. E anche con gli altri ragazzi certo, ha sbagliato, un adulto non può e non deve tollerare determinate cose. Ma ha un problema. Si è messo nei loro panni, perché ci stava bene a causa della sua profonda immaturità. Non basta che si siano masturbati a casa sua affinché sia condannato per atti sessuali, deve averli indotti a farlo». Rulli ha infine chiesto un'importante riduzione di pena: «La precedente procuratrice pubblica (Marisa Alfier, ndr) aveva ipotizzato quattro anni in rito abbreviato (poi non concretizzatosi, ndr). La pp odierna propone il doppio. Ma non ci sono stati fatti nuovi, l'incarto è lo stesso. La pena adeguata sarebbe di tre anni e mezzo».

 

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