Erano una dozzina, quattro dei quali minori e un bambino piccolo, gli autogestiti all'ex Macello di Lugano la sera dello sgombero. La testimonianza
«Un'entrata vigliacca, appoggiata dal Municipio per sostenere il loro gioco di prepotenza e potere». Allo sgombero dell'ex Macello non ha assistito praticamente nessuno, gli occhi erano tutti puntati sull'ex istituto Vanoni in quel momento. Ma qualcuno quel momento lo ha vissuto. E, dopo averne parlato nell'assemblea del Centro sociale autogestito Il Molino, ha deciso di parlarci di quei difficili momenti, dai quali sono trascorse poco più di quarantotto ore cariche di eventi e sentimenti.
Come mai vi trovavate al Molino?
Ci siamo andati per un momento di pausa dopo il corteo. Volevamo bere qualcosa e poi saremmo andati a casa.
Invece cos'è successo?
Eravamo lì da neanche una mezz'ora, quando abbiamo notato delle persone che si avvicinavano. Guardando dalla finestra ci siamo accorti che erano dei poliziotti, in tenuta anti-sommossa.
Quanti?
Direi almeno una quarantina, forse di più. Prima hanno fatto il giro dell'edificio e poi si sono schierati davanti al cancello e alle altre possibili uscite. È stato un intervento pianificato nel dettaglio. Ci hanno letto, col megafono, l'intimazione di sgombero e abbiamo chiesto del tempo per capire cosa fare. Inizialmente ci è stato detto di prenderci il tempo che avevamo bisogno, ma poi sono diventati dieci minuti.
E voi cos'avete fatto?
Abbiamo pensato naturalmente di opporre resistenza, sentivamo la necessità di difendere lo spazio per l'autogestione. Ci hanno intimato che avremmo potuto uscire spontaneamente e andarcene, previa registrazione dei documenti, mentre per chi si opponeva sarebbe potuto scattare l'arresto. Essendo presenti dei minori (quattro in totale, fra questi un bambino piccolo, su una dozzina di persone che si trovavano all'interno, ndr), non potevamo mettere a rischio la loro incolumità. È stato molto difficile però decidere di non fare nulla: ritrovarci lì, come dei topi da laboratorio, senza vie di fughe e in uno spazio simbolo della resistenza e della lotta, è stata una grande amarezza. Le ginocchia sbucciate e i lividi si sentono ancora oggi. Eravamo davvero combattuti, però più guardavamo fuori e più ci accorgevamo di quanto forze dell'ordine erano state mobilitate: una sproporzione rispetto a quanti eravamo noi. E c'erano i droni che volevano sopra, sapevano in quanti eravamo, per questo il principio di proporzionalità non è stato rispettato.
I bambini come hanno reagito?
I bambini erano spaventati chiaramente, già solo per l'aspetto degli agenti in tenuta anti-sommossa. Noi adulti ci siamo subito affacciati dicendo che c'erano dei minori all'interno. Anche per questo l'idea di uscire ci spaventava. I bambini chiedevano “ora non potremo più tornare?”, questo ci ha commossi. Abbiamo cercato di spiegargli cosa stesse succedendo, che si supponeva che non volessero farci del male, però il fatto che ci stessero portando via il Molino era come se ce lo stessero facendo. Abbiamo detto loro che c'era qualcuno che non voleva che il Molino esistesse, che non condividevano l'idea che potesse esserci uno spazio libero di autogestione e che queste persone che non sono d'accordo hanno chiesto alla polizia di venire qui a riprenderselo. È stato un atto di forza e in quanto tale lo abbiamo spiegato ai bambini. La polizia voleva identificare anche i minori, ma glielo abbiamo impedito. Noi invece siamo stati schedati.
E per voi adulti com'è stato?
È stato un attacco al cuore orribile, soprattutto questa impossibilità di agire e di sapere di essere in scacco, è stato atroce da subire: vent'anni di autogestione che se ne vanno in un soffio di forza repressiva. Siamo usciti con il peso del ricordo, della lotta, della resistenza, di vent'anni di compagni. È stato come uscire imbavagliati. La voglia era sedersi e aspettare che entrassero, ma eravamo davvero troppo pochi per poter opporre resistenza e, ripeto, con i bambini. È stata una decisione molto sofferta, ancora oggi non trovo pace. Non si dorme tanto la notte, speriamo che pure chi ha ordinato lo sgombero possa passare anche qualche ora con gli occhi spalancati sul macello che hanno creato. Siamo usciti arrabbiati, ma c'è anche chi è riuscito a uscire a testa alta, sfilando con dei fiori in mano davanti alla polizia: è stata una scena di bellezza e di poesia.
E una volta usciti?
Siamo rimasti lì sul muretto a fissare il nulla, sgomenti. Purtroppo non abbiamo potuto recuperare nulla. E ancora oggi ci sono persone che chiedono delle loro cose, perché il Molino era un posto accogliente. Mi commuovo ancora adesso pensando agli effetti personali e ai pezzi di vita lasciati alle spalle, senza possibilità di retrocedere. Avremmo voluto portare fuori delle cose, ma il tempo è stato troppo poco per decidere cosa prendere e cosa no e quindi abbiamo seguito l'istinto. Io però penso sempre che non ci sarà mai una maceria che ti potrà seppellire ma è da lì che dovrà rifiorire l'urlo della lotta: non sarà una ruspa a spegnere il cuore pulsante della resistenza!