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Jihad o follia? Il confine è labile, la minaccia da soppesare

Uno studioso del radicalismo islamico 'legge' l'attacco di Lugano e lo inserisce nel contesto europeo, per capire rischi e limiti del terrorismo in Europa

(Ti-Press)
25 novembre 2020
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Jihadismo o follia? E ha davvero senso una distinzione di questo tipo? Per capire in che contesto va letta l’aggressione di Lugano parliamo con Claudio Bertolotti, direttore del centro di analisi strategica Start InSight di Lugano e dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (ReaCT).

L’impressione è quella di un gesto estemporaneo legato a forti scompensi psicologici. Si può parlare lo stesso di terrorismo?

Di certo non si tratta di un’operazione paragonabile a grandi attacchi premeditati come quelli di Parigi e Bruxelles; anzi, ultimamente si nota che gli attacchi sono sempre più limitati, estemporanei e molto meno letali: 10 morti nel 2019, 16 nel 2020 in Europa. Resta il fatto che questa violenza trova un’ispirazione nell’ideologia jihadista, e che è lo stesso Stato islamico, in assenza di altri mezzi, a puntare sempre di più sulla ‘attivazione’ locale di soggetti fragili.

Il profilo dell’aggressore è atipico: donna, europea, verosimilmente convertita da adulta.

In effetti i convertiti costituiscono solo il 7% degli attentatori dal 2015 a oggi, le donne il 2%. Segno anche questo che si tratta di un evento con caratteristiche di eccezionalità.

L’attentatrice aveva cercato di raggiungere in Siria un combattente del quale s’era innamorata sui social.

E che magari non esisteva nemmeno, ma era un profilo fittizio creato ad hoc per il reclutamento. Questo è più tipico: chi ‘fallisce’ nel tentativo di unirsi alla lotta in Medio Oriente viene comunque esposto a ulteriori forme di propaganda e sollecitazione, in modo da fomentare atti violenti in patria. Per questo aumentano anche i casi di recidiva, dal 3% del 2018 al 27% quest’anno. Numeri che fanno capire l’importanza di percorsi di controllo e reinserimento sempre più articolati. 

Ci si chiede perché dal 2017 la donna non fosse più sotto controllo.

Per controllare una persona ne serve un’altra dozzina, risorse enormi. È comprensibile che le autorità preferiscano concentrarsi su profili giudicati più immediatamente pericolosi. Anche se naturalmente questo non annulla del tutto i rischi. 

Che ruolo possono giocare sul territorio le ‘cellule insubriche’ dello Stato islamico?

In questo caso è difficile pronunciarsi. In generale possono costituire un terreno di coltura sociale, ma difficilmente saranno capaci di azioni organizzate particolarmente eclatanti. 

Ora c’è chi chiede l’istituzione del reato di Islam politico, come in Austria.

Attenzione a non confondere Islam e islamismo politico. È giusto combattere con leggi, polizia e intelligence formazioni fondamentaliste pericolosissime come i Fratelli Musulmani e le loro affiliazioni europee. Allo stesso tempo, però, occorre ripensare il nostro dialogo politico con le comunità di religione musulmana: che non solo sono una cosa ben diversa, ma che dovremmo anche smettere di trattare come un tutt’uno, senza distinzioni nazionali. Non parliamo con uno spagnolo trattandolo genericamente come un cristiano. 

Ora c’è il rischio di una reazione islamofoba?

È possibile che qualcuno cercherà di sfruttare quest’opportunità per adottare un approccio più severo verso l’immigrazione in generale. Cosa che però rischia di portare a maggiore risentimento. È proprio quello che cerca l’Islamismo politico: approfittare della violenza per ottenere reazioni politiche, come fa ogni forma di terrorismo; in questo caso, in modo tale da fomentare l’isolamento reciproco tra ‘noi’ e ‘loro’. E aumentare così il livello del contrasto.

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