Al processo luganese per atti sessuali con fanciulli emerge la realtà dei giovani disposti a concedersi per soldi o regali, per altro spesso solo promessi
«Il lupo perde il pelo ma non il vizio». Non è stata lunga la requisitoria del procuratore pubblico Arturo Garzoni: come ammesso sia da lui, sia dal difensore del 27enne accusato di atti sessuali con fanciulli Niccolò Giovanettina, per molti versi si è trattato di un'inchiesta fotocopia rispetto a quella che nel 2015 portò alla sua condanna a tre anni e quattro mesi. Tuttavia, sia secondo l'accusa sia per la difesa delle differenze ci sarebbero. «Non è più un teenager, un twink come le sue vittime – ha detto il pp –, ma è diventato un predatore sessuale, astuto, che ha fatto un salto di qualità, che è anche entrato in contatto con personaggi pericolosi e poco raccomandabili del mondo dello spaccio della droga. Se non fosse stato fermato avrebbe continuato a delinquere».
In questa «triste storia già vista» Garzoni ha messo l'accento anche sull'aspetto tecnologico dell'inchiesta: «Ha agito con lo stesso modus operandi, adattandosi alle tecnologie nel frattempo uscite, passando da Facebook a Snapchat». Social, questo, utilizzato per non lasciare messaggi compromettenti e che ha reso l'inchiesta più laboriosa, a causa dei nickname anonimizzati, rendendo necessaria una rogatoria negli Stati Uniti, che ha restituito i contatti dell'imputato sull'app ma non i contenuti delle chat. A riempire quelle righe ci hanno pensato i ragazzi stessi e poi il 27enne, che anche a detta dell'accusa ha fornito una buona collaborazione.
Agli adolescenti l'accusato si presentava in maniera simpatica, «adattandosi al loro linguaggio e alla loro età», presentandosi come ricco, alla guida di auto di lusso e pieno di denaro, quando la sua realtà era fatta di poco lavoro e debiti. Soldi promessi alle giovani vittime, che alcuni hanno accettato «prostituendosi senza vergogna», ha detto Garzoni, sottolineando che di soldi poi ne abbiano effettivamente visti ben pochi. «Se accettavano, li passava a prendere con l'Audi coi vetri oscurati e si appartavano in un posto riparato».
Essendo l'imputato sostanzialmente reo confesso, l'unico reato sostanzialmente contestato riguardo dei toccamenti notturni a danno di un paio di ragazzi coi quali il 27enne avrebbe fatto amicizia durante l'estate 2019 e di cui avrebbe approfittato mentre dormivano. «Non si sa controllare, gli scappa la mano» la tesi di Garzoni. «È un reato che presuppone l'aggiramento della volontà delle vittime, che lui ha tuttavia sempre rispettato, essendosi sempre fermato quando gli dicevano 'basta' – per Giovanettina, invece –, non c'è motivo di non credergli».
Il pp ha chiesto cinque anni di detenzione per il 27enne, da sospendere a favore di un trattamento psichiatrico stazionario, prendendo atto della perizia psichiatrica che ha evidenziato un disturbo narcisistico con tratti istrionici, un'efebofilia e un'olfattofilia. E soprattutto un rischio importante di recidiva se non curato. «La sua colpa è grave, è recidivo e ha tradito la fiducia dello Stato (concessa con la libertà condizionale nel 2017, ndr). Ha abusato di minori sull'arco di un anno, in un numero importante di occasioni, per anteporre le proprie pulsioni sessuali al benessere dei minori».
«Le similitudini rispetto al processo del 2015 sono evidenti e un po' inquietanti – ha confermato da parte sua Giovanettina –. Ma, c'è lupo e c'è lupo. Ha fatto tutto questo, oltre che per un problema riconosciuto, anche per le sue fragilità dovute a una vita estremamente difficile». Secondo il difensore, l'uomo sarebbe riuscito a controllare i propri impulsi una volta scarcerato per un certo periodo, ma il fatto che nel 2018 sia diventato consumatore di cocaina avrebbe contribuito a riattivare il suo problema. L'avvocato ha altresì criticato la perizia psichiatrica del 2015, evidenziando invece i benefici del percorso terapeutico intrapreso ora, invitando la Corte a giudicare l'assistito «con severità, dato che la sua colpa non è lieve, ma anche riconoscendo i suoi cambiamenti e uno spaccato di gioventù bruciata: quella dell'imputata, ma anche dei ragazzi dal consenso troppo facile e con valori legati a magliette e scarpe firmate».
Difatti, oltre a dibattere dei reati, sostanzialmente confessati, commessi dall'imputato, in aula si è toccato più volte il delicato tema della sessualità di questi giovani concessa in cambio di soldi, per altro quasi mai dati ma solo promessi. «Bisogna avere il coraggio di dire qualcosa di scomodo: i ragazzi erano predisposti alle proposte dell'imputato – ha detto Giovanettina durante l'arringa –. C'è un problema nella facilità con cui questi ragazzi si lasciano convincere per soldi, per scarpe di Gucci o per felpe di Burlon. Nelle loro dichiarazioni ritroviamo imbarazzo, disagio, ma non quel turbamento che ci aspetteremmo. E questo è un brutto segnale sociale». L'avvocato ha infine sostenuto che, nonostante l'anagrafe, vi sarebbero delle analogie fra il 27enne e gli adolescenti. Quest'ultimi – alcuni dei quali si conoscevano fra loro –, una volta intuito che le promesse di pagamento sarebbero rimaste tali, gli avrebbero anche teso una trappola minacciandolo con foto compromettenti relative al consumo di droga.
E sul profilo delle vittime si è, evidentemente, focalizzate anche la rappresentante degli accusatori privati, l'avvocata Valentina Zeli. «Non sono tutti uguali – ha premesso –. Fra questi alcuni sono alti 1,80 metri, sono belli e muscolosi, mentre altri sono timidi e mingherlini, con l'acne. Alcuni hanno famiglie solide alle spalle, altri provengono da situazioni domestiche difficili. Ma li accomuna che sono tutti caduti nella trappola: hanno creduto che avrebbero ricevuto soldi, molti soldi. E come hanno fatto a cascarci? L'unica risposta che sono riuscita a darmi è: sono ingenui, perché hanno 15 anni. Non sono adulti, anche se si atteggiano da grandi o sono espliciti nel linguaggio. Inoltre, nessuno ha parlato coi genitori di cosa stava accadendo, sebbene alcuni avessero buoni rapporti con le famiglie. Dimostra come i fatti siano stati vissuti davvero con imbarazzo e disagio». Zeli ha chiesto pertanto risarcimenti per torto morale da un minimo di 500 a un massimo di 5'000 franchi per ogni vittima.
La sentenza è attesa nel pomeriggio.