È ancora in fase di sviluppo, ma il suo aiuto si sta rivelando prezioso. A un anno dall'introduzione, bilancio del supporto psicologico per i poliziotti
Tensioni, difficoltà di concentrazione, ricordi intrusivi. Sono solo alcuni dei segnali che possono far scattare l’allarme che ci sia qualcosa a turbare la serenità di una persona. Se parliamo di mondo del lavoro, alcune persone sono più a rischio di altre. È questo il caso degli enti di primo intervento. Lo sa bene la Città di Lugano, che a inizio anno ha avviato un innovativo servizio di Peer support rivolto alla Polizia comunale. A quasi un anno dall’introduzione, ne tracciamo un primo bilancio con la capogruppo Irene Di Pasqua e con la responsabile del servizio Sicurezza e salute del Comune, Lara Butti.
«Non è una tecnica psicoterapeutica – puntualizza subito quest’ultima –, ma piuttosto un aiuto d’urgenza che si basa sui principi dell’approccio psicologico». Riconoscere l’insorgenza di possibili turbamenti e cercare di limitarli avviando un processo di elaborazione. Questo lo scopo dell’iniziativa ideata proprio da Butti nel 2016. «Mi occupo di prevenzione da anni – spiega –, a inizio 2015 entrò in funzione il Care Team Ticino (servizio cantonale di sostegno psicosociale nell’immediato alle persone coinvolte in eventi traumatici, ndr). La trovai un’innovazione davvero interessante e, dopo essermi incontrata con loro, ho pensato di proporre qualcosa di simile anche per l’amministrazione comunale. Fra tutti, la Polizia è la forza di primo intervento potenzialmente più confrontata con situazioni a rischio. Ne ho parlato con il capodicastero e con il Comando, che hanno subito accolto favorevolmente il progetto».
Una volta incassato il beneplacito del Municipio, è iniziato l’iter preparatorio. «È stato fatto un sondaggio interno alla Polcom per scegliere i colleghi – aggiunge la responsabile –, nove agenti apprezzati nei quali gli altri potessero avere fiducia». Fra questi, Di Pasqua. A seguire, un piccolo investimento per la formazione psicologica di base: sei giorni coadiuvati dal Care Team, tre di teoria e l’altra metà di pratica con simulazione di casi-tipo.
Dopo la formazione, la pratica. «Il nostro è un approccio non invasivo – spiega Di Pasqua –, monitoriamo la situazione, interveniamo in quei casi che ci sembrano a rischio come gli incidenti mortali, i suicidi e i crimini violenti. Un agente che è genitore o più sensibile di altri potrebbe essere inoltre turbato anche da un caso di violenza domestica. Segnaliamo qualora ci siano dei sintomi che possono far pensare. Interveniamo con l’ascolto attivo, senza giudicare e questo può essere sufficiente per superare il disagio. Ci attiviamo anche su richiesta, come successo in un caso quest’anno. Ma è importante sottolineare che non agiamo senza l’esplicito consenso del collaboratore. Gli interventi sono delicati e discreti: qualsiasi dato o informazione sono strettamente confidenziali». Monitoraggio costante, ma pochi interventi finora: cinque. «Il servizio è relativamente nuovo – valuta l’agente –, inoltre manca ancora la cultura. Ma i risultati ottenuti fin qui sono significativi e incoraggianti». E qualora si presentassero casi più complessi? «Per situazioni più delicate abbiamo contatti con servizi di psicologia esterni – rassicura Butti –. Mentre per garantire la qualità del servizio, proseguiremo con la formazione continua scegliendo di anno in anno temi specifici». Questi spaziano da argomenti legati a errori e sensi di colpa fino a mobbing o a situazioni particolarmente violente.
Si è tolta la vita il 13 novembre scorso, terzo anniversario degli attentati terroristici che a Parigi fecero oltre 130 morti. La storia della 36enne Maggy Biskupsky ha riattualizzato il problema della violenza contro gli agenti di polizia in Francia. Presidente dell’associazione ‘Policiers en colere’, la poliziotta si è battuta per anni per arginare l’allarmante numero di suicidi fra i colleghi, prima di arrivare lei stessa al gesto estremo, complici forse alcune accuse provenienti dalle forze dell’ordine stesse.
Cronache da un Paese vittima di forti divisioni sociali interne e che si sente sott’attacco dall’esterno. Non è fortunatamente il caso della Svizzera, ma il Cantone e la sua città più grande hanno sentito l’esigenza di attivare un servizio di sostegno psicologico, segno che anche in Ticino gli agenti sono sotto pressione.
«È un’esigenza che c’è. Ritengo che il Peer Support sia utile e importante – valuta il capodicastero Sicurezza e spazi urbani Michele Bertini –, perché il Municipio è e vuole essere un datore di lavoro che tenga in considerazione le sollecitazioni che ci arrivano e le esigenze di un Corpo di polizia contemporaneo. Questo vuol dire anche poter mettere in atto tutte quelle misure che possano tutelare la salute dei collaboratori». Secondo il vicesindaco è una scelta virtuosa quella di affidare l’antenna a poliziotti interni alla Polcom e non a esterni. E non si tratta di un servizio legato unicamente a episodi traumatici o particolarmente stressanti. «Ci possono essere dei disagi dovuti anche alla turnazione o altre questioni lavorative – ipotizza il vicesindaco –, sono tanti i temi che un datore di lavoro moderno e al passo coi tempi come la Città può e deve affrontare». Un supporto quindi che si potrebbe estendere anche ad altri settori dell’amministrazione pubblica? «È ipotizzabile, ma bisogna valutare che tipo di servizio. Questo è calibrato sulla polizia, mentre altri ambiti possono avere altre necessità: pensiamo solo alla prevenzione degli infortuni. È un’azione ad ampio raggio, che va dalle piccole alle grandi cose e che s’inserisce nel cambiamento di mentalità in atto (il riferimento è, fra gli altri, al nuovo Rod ‘meritocratico’ e in generale al Progetto Nuova Amministrazione, ndr)».