Visioni e obiettivi di Antonio Prata, che con la sala asconese programma ora anche quelle di Muralto: ‘Meno management, più film e contatto col pubblico’
«Mi piace tantissimo fare questo lavoro. Sono veramente contento di tornare a fare quello che mi piace di più, oltre al fare film, ovverosia gestire le sale con una mia programmazione. È un lavoro complicato ma che stimola tantissimo. A volte credi anche di avere delle intuizioni felici, spesso però devi anche accettare di rimetterti in discussione. Ad esempio, non avrei mai immaginato lo straordinario successo che sta avendo “I Giacometti”. In quel caso non si è trattato di intuizione, ma pura fortuna».
Antonio Prata parte subito a bomba e tradisce così una passione che, letteralmente, deborda. Parlare di “nuovo cinema” locarnese si può anche in relazione al circuito che lo stesso Prata ha avuto l’opportunità di avviare abbinando alla sala dell’Otello di Ascona le tre sale del Rialto di Muralto. Ma lo si fa per un attimo, perché poi subito bisogna entrare nel merito e discorrere di “Io capitano”, il capolavoro di Garrone, o “Asteroid City” di Wes Anderson, “The Killer” di David Fincher, o ancora de “I Giacometti”, la bellissima sorpresa di Susanna Fanzun sulla saga di una straordinaria famiglia d’artisti della Bregaglia. Perché è ciò che parte dal momento stesso del buio in sala, ciò che gli interessa. Anzi no: il suo (bel) lavoro inizia molto prima.
Antonio Prata, innanzitutto come nasce l’abbinamento Otello-Rialto?
Il Festival di Locarno, che ha esteso l’affitto delle sale, mi ha proposto lo scorso anno di programmare anche il Rialto, per avvicinarlo un po' alla programmazione dell'Otello, che negli ultimi anni è stata molto apprezzata sia da loro che dal pubblico della zona. Considerando anche che a me, onestamente, una sola sala, e cioè l’Otello, non bastava soprattutto alla luce di tutte le richieste che arrivavano dalla distribuzione, la scommessa è dunque stata quella di accettare e creare un circuito locarnese.
Che ruolo può avere il Festival nel circuito e a Muralto in particolare, trattandosi appunto il Rialto di un multisala che lei può programmare… per gentile concessione?
Potrà essere molto importante, al di là del fatto che ci ospita e ci dà fiducia. Alcuni film presentati al Festival li abbiamo già passati in programmazione, altri arriveranno. Ma al di là di questo, spero e credo che per noi possa essere un punto di forza, anche dal punto di vista organizzativo e della comunicazione, aiutandosi a vicenda.
Fatto sta che lei parte con nientemeno che quattro sale: visto il lascito della pandemia, e le previsioni non propriamente ottimistiche sulla ripresa del cinema, ci vuole un certo coraggio.
Quattro sale sono tante e forse anche troppe, ma mi piace considerarle una buona base per portare anche qui del cinema d’essai, ma non solo: anche per prolungare film che meritano o richiedono di essere mantenuti, come, in questo momento, “Io capitano”, o come sarà appunto per “I Giacometti”, il cui successo è davvero incredibile: nelle prime due settimane di programmazione è infatti addirittura superiore a “Le otto montagne”, che è stato il film più visto all’Otello negli ultimi 5 anni, ma che, nonostante si trattasse del periodo natalizio, non era riuscito comunque a fare questi numeri.
Insomma, fra intuizioni e colpi di fortuna sembra si stia sviluppando una proposta composita, variegata e, soprattutto, apprezzata.
Così sembra. L’obiettivo è tornare a fare quello che si faceva una volta nella programmazione, e cioè allontanare questo ruolo dall’aspetto prettamente manageriale che lo ha coinvolto negli ultimi decenni a causa del drastico ridimensionamento, o annullamento, di figure chiave della gestione delle sale. Bisogna riavvicinarlo ai film, al pubblico, al confronto con gli appassionati, stando attenti ai suggerimenti dei distributori per avvicinarsi alle esigenze di tutti i tipi di pubblico cinematografico. E seguirlo in un percorso mirato, settimana dopo settimana. Dopo la pandemia, con l’enorme perdita per le sale, per sopravvivere bisogna forse anche cambiare il modo di concepire la programmazione e la gestione. In questo discorso rientra l’intero settore del cinema: multisale e sale periferiche incluse. Tutti quanti dobbiamo rimetterci in discussione. In questa situazione potrebbe sembrare paradossale, o anche un po’ folle, mettersi a gestire quattro sale in un bacino che non è certo quello, ben più ampio, di Lugano, dove hai determinate garanzie di poter partire bene. Però, ripeto, l’idea di concepire la programmazione in modo diverso, a contatto con il proprio pubblico, cercando di capire quali possono essere le sue esigenze, lontano da un management esasperato, è una cosa bella e che mi fa stare bene.
Cos’è bello e cos’è importante, nel “cucinare” un cartellone che faccia la felicità di tanti appassionati uno diverso dall’altro?
Bello è il lavoro del programmatore in sè, che inevitabilmente consiste appunto nel guardare tanti film. E così facendo, per il circuito di Otello e Rialto, cercare di riaprire uno spiraglio per un certo tipo di distribuzione, anche indipendente, che include il cinema svizzero e quello italiano emergente; ciò che in Ticino ha altre belle finestre come il Lux Art house di Massagno e l’Iride a Lugano. Importanti in questo processo – anzi, fondamentali – sono le segnalazioni di diversa provenienza e la comunicazione, coinvolgendo molto di più i social e lo stesso sito. Ma gli input maggiori sono sempre quelli diretti, che arrivano negli incontri o nelle chiacchiere fatte con il pubblico e con gli appassionati.
Cosa distingue(rà) i cinema Otello e Rialto?
Innanzitutto, ciò che li accomuna è l’interscambio che possono garantirsi reciprocamente per permettere a un film che merita di continuare a “vivere”. Questo nuovo scenario tiene comunque conto delle caratteristiche che sono proprie dell’ubicazione delle sale. Mi riferisco alla diversità che esiste all’interno dello stesso circuito, perché diverse sono le persone che frequentano l’Otello rispetto a quelle che si riaffacciano al Rialto. Ad Ascona la versione originale è più sentita con i sottotitoli in francese, anche grazie al lavoro fatto negli anni dai Cine Club come l’Alliance française, mentre forse – e dico forse, perché lo stiamo sperimentando – a Muralto potrebbe esserci una maggior attinenza con lo spettatore germanofono. Ancora all’Otello credo di poter avvicinare il cinema italiano di autori più conosciuti, mentre quello più sperimentale di cineasti ancora da scoprire è forse più da Rialto. Sono ipotesi sulle quali stiamo lavorando.
Alla fine, la chiave del successo la si trova comunque nel cassetto con su scritto “qualità”.
Oggi la gente non va più al cinema solamente per passare il tempo. Anche perché, per quanto riguarda i film, dicono – altri, ma io non lo condivido – che si può passare del tempo più piacevolmente a casa, davanti a televisori enormi, con i popcorn fatti sul momento eccetera. A proposito di qualità voglio fare un esempio su tutti: “Roma”, di Cuaròn, che avrebbe poi vinto l’Oscar. Netflix lo buttò fuori proprio quando io arrivai all’Otello. Ebbene, era un titolo importante, trattato però da “blockbuster” da piattaforma VoD, pensando insomma al pubblico vasto e soprattutto che resta a casa. Ma era, anche, un cinema di altissima qualità, con determinate scelte registiche, con una fotografia e una scrittura strepitose. Molti lo hanno visto a casa ma poi, in centinaia, sono venuti all’Otello per rivederlo. Questo accade nonostante la gente abbia anche sempre meno soldi da spendere. Significa proprio che davanti a tutto c’è la qualità. E in questo concetto non ci metto solo il film e i suoi contenuti, bensì anche delle belle sale in cui proiettarlo, uno schermo e un impianto sonoro all’altezza. Per non dire di quello che ruota attorno al film, come ad esempio i piccoli eventi, l’ospite, il rinfresco o l’aperitivo, lo spazio di discussione – perché vogliamo anche parlarne, non solo vedere e poi dimenticare un bel film. Tutto ciò concorre a rafforzare la qualità.
Poi c’è il grande capitolo delle rassegne, che già al Rialto ha visto ad esempio il ritorno dell’Anglo Swiss Club con le sue proposte.
Certo, e qui si apre un mondo che mi piace tantissimo. Possiamo pensare alla relazione del cinema con altre arti o attività, come la musica, la pittura, la scrittura. Il Rialto ha anche un atrio che si presta benissimo per momenti di incontro che vadano oltre il semplice aperitivo. Mi piacerebbe molto riprendere con il cinema musicato e collaborare con festival di cinema di tutta Europa per portare da noi rarità, e anche per dare visibilità a chi si propone. E poi altro ancora. Io non sono uno che riesce sempre a sfornare idee, ma sono sempre stato pronto a considerare e a portare avanti quelle di altri.
Ad esempio un bel “cinema e giornalismo”, partendo da “State of Play”, come mi suggerisce l’amico cineasta Lorenzo Pomari, per arrivare a “Good Night, and Good Luck”, con un ottimo George Clooney, passando da “Spotlight”, di McCarthy, sugli abusi della Chiesa nei confronti dei minori, fatti emergere dai cronisti del Boston Globe…
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