Il ‘corto’ di Francesco Pereira, selezionato nei Pardi di domani, segna un ulteriore salto di qualità della scuola. Intervista al direttore Marco Poloni
Poi arrivano piccole perle di sensibilità che improvvisamente ti aprono un mondo. Nel caso specifico il mondo del Cisa, Conservatorio Internazionale di Scienze Audiovisive, con sede al Palacinema, che proprio a Locarno, nel suo Festival, trova quest’anno non solo ospitalità nel Concorso nazionale dei Pardi di domani, ma anche un prezioso sbocco verso altri festival internazionali. La piccola perla è un cortometraggio, “Jaima” (19’), del regista Francesco Pereira, che da uno spunto di alcune Ong nasce nella pancia del Cisa e si sviluppa tra le dune del Sahara, fra i Saharawi, minoranza perseguitata e cacciata dalla sua terra.
Pereira, studente del terzo anno, unitamente a una troupe costituita da altri ragazzi in formazione (il cameraman Noel Saavedra e il sound designer Davide Londero) ha lavorato sul posto per un mese traducendo in concreto le nozioni scolastiche, e lo ha fatto con una qualità tale – e qui vanno anche segnalati sia l’aiuto sul campo degli studenti della scuola di cinema del campo rifugiati Saharawi, la Efa-Aks, sia il montaggio di Luca Huser, effettuato a Locarno – da meritarsi la selezione locarnese.
Il film, che sarà proiettato venerdì 11 agosto alle 14.30 alla Sala e alle 18.30 al Rialto 1, nonché sabato 12 alle 17.30 ancora alla Sala, è appunto paradigmatico di una realtà formativa che se la gioca con istituzioni come l’École cantonale d’arte de Lausanne (écal), la Head di Ginevra, l’Università delle Arti di Zurigo (ZHdk), la Scuola d’Arte e Design di Lucerna (Hslu) e l’Università della Svizzera italiana, che proprio in relazione al Film Festival ha istituito la sua cattedra di cinema.
Assieme, queste realtà d’eccellenza hanno dato vita sabato al Palacinema a “Scuole senza frontiere”, rassegna di film prodotti dagli studenti che si fregia tra l’altro dell’egida del Cilect, il Centre International de Liaison des Écoles de Cinéma et Télévision, che annovera le 180 migliori scuole di cinema al mondo. Per “laRegione”, l’occasione di incontrare Marco Poloni, da un anno direttore del Cisa nel “post Domenico Lucchini”.
Direttor Poloni, come si situa il Cisa a livello nazionale rispetto alle altre prestigiose scuole con cui condivide la vetrina della rassegna?
Senza entrare troppo nello specifico tecnico, rilevo che tutte le altre realtà formative presenti hanno uno statuto accademico, mentre il Cisa è una Scuola Superiore Specializzata. Ciò che ci distingue è che noi facciamo solo cinema e televisione. Il che determina un forte orientamento verso l’acquisizione di competenze tecniche. Non pecco di superbia se dico che probabilmente formiamo fra i migliori direttori della fotografia e fonici della Svizzera, o ancora produttori che altre scuole non formano. Questo è certamente il frutto del lavoro svolto prima di me da Domenico Lucchini, subentrato 16 anni fa al fondatore Pio Bordoni. Lucchini ha consentito al Cisa di fare un salto di qualità e delinearsi nel tempo come realtà formativa consolidata e centro di eccellenza nell’audiovisivo sul territorio. Oggi, vista la grande richiesta, ci possiamo permettere il lusso di selezionare i candidati con profili davvero idonei al Cisa, tenendo conto che quello svolto a scuola è, in grandissima parte, un lavoro di squadra. Che questa selezione sia opportuna o addirittura decisiva viene poi dimostrato dai fatti.
Ovvero?
Innanzitutto, chi entra in genere finisce non solo la formazione biennale, ma anche quella triennale. Dopodiché una grandissima parte trova lavoro: nei primi 6 mesi, parliamo dell’80% circa. È una quota notevole, rispetto ad esempio a chi esce dalle scuole d’arte, come il sottoscritto. Questo significa che se siamo forse un po’ duri nel processo di selezione, una volta superato questo scoglio facciamo tutto il possibile affinché la formazione venga completata. Rilevo anche che circa il 40-45% degli ammessi risiede in Ticino e, tolta una minoranza di confederati e di provenienti da altre nazioni (cito ad esempio Brasile e Polonia fra gli studenti appena ammessi), la parte rimanente è formata da giovani lombardi e piemontesi. Ciò traduce una certa tendenza all’apertura.
Nel gennaio del ’22 lei entrava al Cisa per rilevare Lucchini da “esterno”, proveniente oltretutto da una realtà cosmopolita e culturalmente ricchissima come Berlino. Bilanci?
Sono molto soddisfatto. Diciamo che quando i numeri sono grandi si ragiona sulle medie, mentre quando sono piccoli il riferimento sono gli scatti verso l’alto e verso il basso. Locarno è piccola e sapevo di dovermi confrontare con una realtà “S” e non “XL”. Questa cosa mi piaceva perché in realtà simili si può lavorare bene. Io provenivo appunto da Berlino, dove invece, in pratica, molte cose sono già state fatte: ci sono tantissimi attori, e molti di altissimo livello. Fra questi due estremi mi sono molto affezionato a quello più “provinciale”. Ritengo infatti che, in fondo, il provincialismo è un concetto internazionale, che va bene anche per grandissime realtà che comunque si dividono in famiglie e gruppi d’interesse. Al netto del fatto che non mi sono ancora imbattuto in problemi di incompatibilità “territoriale”, io tento di non farne un problema a priori, ma di applicare invece sempre una politica di apertura.
Prospettive?
La prima e più immediata è legata alla selezione nei Pardi di domani del nostro cortometraggio “Jaima”, firmato da Francesco Pereira. Non succedeva da 12 anni e rappresenta un salto di qualità. D’altra parte documenta una realtà davvero poco conosciuta come quella dei Saharawi, una comunità del sud dell’Algeria deterritorializzata, che lotta per la sua sopravvivenza. Il film tocca quindi un tema inusuale e ha una struttura concettuale notevole. Non per niente abbiamo molte altre richieste da parte di festival di livello. Vedremo se, e come, questo avrà un impatto sulla scuola, generando più interesse ancora nei giovani di talento che vogliono fare cinema. Oltre all’ottima immagine della quale già gode il Cisa in Svizzera e all’estero, l’apertura internazionale che si afferma con la partecipazione ai festival mi sembra determinante.