La toccante testimonianza di Claudia G., storica nata e cresciuta in Italia e ‘adottata’, 8 anni fa, dalla comunità locarnese
«Con Locarno e con il Locarnese è scattata subito una scintilla. Con orgoglio posso dire di sentire e di conoscere il lago il mattino presto quando è immobile, o solcato da piccole onde nei giorni ventosi. Conosco Locarno agghindata a festa e Locarno al mattino presto quando si sveglia. Dopo 8 anni, posso dire di essere perfettamente integrata e di sentirmi parte di lei. Di aver gioito e pianto con lei e di essere cresciuta con lei e in lei. Mi piacerebbe contribuire a plasmarla». Tramite il voto comunale.
C’è anche una dose di poesia, nel pensiero civico espresso da Claudia G., 37 anni, laureata in Storia e conservazione del patrimonio culturale in Italia (dove è nata e cresciuta), oggi docente di cultura generale alla Scuola professionale (Spai) di Locarno, nonché “testimonial” della campagna per il voto agli stranieri. Settimana scorsa una serata sul tema è stata organizzata a Locarno dal Gruppo Integrazione, con Nenad Stojanovic, professore di Scienze politiche all’Università di Ginevra. Una preziosa occasione, anche, per confrontarsi direttamente con persone di origine straniera ma saldamente integrate nel tessuto sociale cittadino, e che proprio per questo anelano a una partecipazione diretta alle decisioni da prendere a livello locale.
L’esempio di Claudia è emblematico di quanto una Patria d’adozione possa diventare, con il tempo, territorio di riferimento e di cuore. Racconta la 37enne: «Dopo gli studi universitari mi sono sposata e ho avuto due bambine. La mia situazione economica non era a rischio, anzi: mio marito guadagnava uno stipendio adeguato alle necessità di una famiglia. Ciò che soffrivamo era soprattutto un desiderio di dignità; ci mancava il senso di rispetto delle regole e della società. Avevamo l’impressione di non avere futuro. Che avvenire avremmo potuto dare alle nostre figlie? Quali opportunità?». La svolta, nel caso di Claudia, è stata la proposta da parte di uno zio che risiede a Locarno di trasferirsi qui: «Abbiamo deciso di migrare così, all’improvviso, senza troppe pretese né tanti programmi. Non sapevamo se stessimo facendo una scelta definitiva o temporanea. L’unica aspettativa era mantenere la famiglia unita».
Locarno, grazie alla sua comunità, si sarebbe presto rivelata, per Claudia, «una perfetta città a misura d’uomo. Con due bimbe di 11 e 24 mesi, senza legami familiari e con mio marito impegnato al lavoro, i primissimi giorni andavo al parco in via delle Scuole ed è proprio lì, che è iniziata la mia integrazione. Il parco in questione è circondato dai palazzi abitati da donne emigrate fra gli anni 60 e 80. Si prendevano cura delle nuove arrivate con i loro racconti le loro domande, mai troppo invadenti, i loro consigli, con parole di conforto e informazioni quando servivano. Ecco, per loro porto nel cuore una profonda gratitudine e spesso mi domando se il sistema le ringrazi adeguatamente, o se sia a conoscenza dell’opera che sottotraccia, silenziosamente, svolgono per la comunità».
Una comunità locale viva, culturalmente attiva, giudicata «aperta» da Claudia, che ha poi iniziato a partecipare a manifestazioni ed eventi, anche legati alla scuola professionale in cui lavora, che è poi anche l’istituto in cui è nato il grande progetto “La scuola al centro del villaggio”, i cui tentacoli sono molteplici e di varia natura. Fra essi, l’orto condiviso: «Mi ci recavo anche per ritrovare visi conosciuti. Ho cominciato a conoscere i vicini, la cassiera della Migros, la Biblioteca cantonale, gli uffici presenti sul territorio: tutto non era più così nuovo, ma ha cominciato a diventare familiare». Tanto familiare da desiderare di avere voce in capitolo: «Vivendo in città da anni, ho imparato a conoscerla nella sua complessità e nelle sfide che si trova ad affrontare, anche riguardo al suo ruolo rispetto agli altri centri del Cantone, come città sempre più multiculturale. Chi la vive dall’interno ne conosce le dinamiche, le sfide per le quali mi piacerebbe poter dire la mia, partecipando alle decisioni della collettività».
Il Gruppo Integrazione, spiega Lorenzo Scascighini, che ne fa parte, «promuove e favorisce, attraverso la proposta di attività, incontri, cene e conferenze, la convivenza con la diversità culturale e con chi ha percorsi di vita provenienti da altri Paesi. È un gruppo senza connotazioni politiche e partitiche ed è aperto a tutti coloro che hanno voglia di approfondire e di impegnarsi nella direzione di una società accogliente, aperta all’alterità e che vede nella diversità culturale una ricchezza anziché un rischio o un pericolo». Quanto al recente incontro con Stojanovic, «la partecipazione del pubblico è stata molto sentita e i presenti che hanno preso la parola hanno espresso il desiderio di essere attivi nella propria comunità potendo esercitare il diritto di voto dopo diversi anni di vita in città».
Data anche la scarsa partecipazione popolare alle votazioni e alle elezioni – aggiunge – «ci si potrebbe interrogare se un modo per rendere più attrattivo e stimolante il dibattito, non fosse effettivamente quello di dare il voto agli stranieri. Spesso il percorso di chi è naturalizzato e di chi non lo è ancora è simile, e la scelta di rinunciare al passaporto elvetico ha diverse ragioni e non è per forza riconducibile al disinteresse o al mancato legame con il territorio. Se una persona viene esclusa, è più facile che non si sentirà incoraggiata e di conseguenza il non diritto al voto diventa un ostacolo all’integrazione. Il voto agli stranieri, per essere messo in pratica, deve passare da una modifica della Costituzione cantonale; in ogni caso, dibattiti come questo preparano quell’humus tra la popolazione che poi si esprime nelle decisioni politiche».