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Storia di un anello, di eroi e dell’orefice che esagerava

Il gioiello, andato perso dal dito di un brionese, racchiude in sé vicende nobiliari, fra cui quella di una giovane medaglia d’oro della Grande Guerra

In sintesi:
  • In forma grezza il gioiello fu realizzato nel 1985. Ventitrè anni dopo lo vide il futuro proprietario, chiamando l'orefice ad uno dei suoi massimi exploit.
  • L'artista è Carlo Sello, di Ascona, che reputa il manufatto una pietra miliare della sua carriera.
15 marzo 2023
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Allacciate le cinture perché la storia dell’anello scomparso ne contiene mille altre, una più affascinante dell’altra. Tutto parte dall’annuncio apparso sulle pagine del nostro giornale sabato scorso, 11 marzo. L’immagine è quella di un anello "fuori categoria", elegante, con cesellature di classe, dal portamento quasi cardinalizio. Vi si leggeva che era stato perduto esattamente una settimana prima. Si tratta di "un anello da uomo, in oro giallo e platino, cesellato, con gli stemmi di due famiglie". Essendo un oggetto prettamente affettivo – precisava l’inserzionista – "chi l’avesse trovato è pregato di rivolgersi telefonicamente al…"; seguivano numero di un cellulare e promessa di un compenso.

Abbiamo fatto quel numero. Ci ha risposto Marco Cadlolo, di Brione sopra Minusio, ancora trafelato per la perdita dell’anello più significativo della sua vita (e non solo della sua, come vedremo in seguito). Si tratta di un’autentica opera d’arte realizzata in oro giallo e platino da un orefice asconese. Correva l’anno 2008. Ma ci torneremo.

I Cadlolo e i Rusconi del Palasio

I due stemmi che vi sono raffigurati riguardano due famiglie ugualmente importanti, nella vita di Cadlolo (per motivi suoi, che non indagheremo). Fatto sta che una, nobiliare, è quella dei Rusconi del Palasio, di cui la geneaologia disponibile racconta vicende che affondano radici nel XV secolo; l’altra è raffigurata da uno stemma gentilizio della nobile famiglia di Martino Cadlolo.

Com’è, come non è, il Cadlolo Marco, quello del presente, quel 4 marzo gira come sempre con il suo bravo anello al dito, quando, improvvisamente, sente la falange farsi più leggera. Alza la mano, la guarda, sbatte gli occhi, la riguarda: orrore!, l’amato anello non c’è più. Sparendo, l’ineffabile gioiello ha in qualche modo portato con sé le grandi storie familiari che celebra e custodisce.

Alberto, ‘primo fra i valorosi’

Quella dei Cadlolo vede emergere la figura di Alberto (Roma, 1899 - Monte Grappa, 24 ottobre 1918). Alberto, come sottolinea lo stesso discendente Marco inviandoci un’immagine a comprova, è stato "la più giovane medaglia d’oro d’Italia". Così lo celebra il sito del Quirinale, ricordando il conferimento del premio, il 31 marzo del ’21: "Primo fra i più valorosi, animato da intenso amor di Patria, guidò con l’esempio il suo plotone all’attacco del Pertica, formidabilmente munito a difesa, fra l’imperversare delle artiglierie e delle mitragliatrici nemiche. Ferito gravemente ad un ginocchio da una bomba a mano, sotto i trinceramenti avversari, accrebbe la fede e l’ardore, in sé e nei suoi, raggiungendo la cima, irruppe primo nelle superate difese. Nel furioso corpo a corpo che ne seguì, piegato sul ginocchio infranto, ma con cuore invitto incitò i suoi soldati a tener fermo, agitando un fazzoletto tricolore ed inneggiando alla Patria, finché una fucilata alla tempia ne troncò la giovane nobilissima vita". Aveva 19 anni.

Giuseppe Antonio, per una Leventina ticinese

È nel Dizionario storico della Svizzera italiana che troviamo invece, della famiglia dei Rusconi del Palasio, la descrizione delle gesta del Giuseppe Antonio. Nato nel 1749 a Saragozza, nel 1798, con la Repubblica Elvetica, divenne prefetto del Cantone di Bellinzona, poi fu attivo in politica e si batté con successo perché la Valle Leventina restasse ticinese e non fosse annessa al Canton Uri. Morì a Giubiasco il 13 giugno 1817.

Ebbene, di queste vicende si abbevera la coscienza di Marco. Il quale, almeno idealmente, era con tomi di storia svizzera ed europea avvinghiati al dito che era solito passeggiare (forse, a volte e non a torto, protendendo le braccia al passo fino a catturare il luccichìo di un malandrino riflesso). Ma solo fino a quel disgraziato 4 marzo in cui le vicende familiari e personali si sono riavvolte, improvvisamente, per tornare ad un imprecisato giorno del 2008: il giorno in cui Marco osservò da un orefice di Ascona un anello "grezzo" di straordinario impatto estetico.

L’artista asconese sulla vetta più alta

«In realtà quell’anello, come forma base, era nato nel 1985. Lo avevo realizzato un gioielliere di Ascona per conto di un acquirente che però alla fine non perfezionò il suo acquisto. Ne ho custodito la forma base per anni, come esempio per potenziali clienti, finché il Cadlolo quel giorno non la vide».

Il racconto, vivido come il ricordo, è dell’artista orefice cui se ne deve la nascita: Carlo Sello, di Ascona, ancor oggi attivo con la stessa passione di allora. «Originariamente al posto dei due stemmi familiari c’erano due iniziali stilizzate, "H" e "F". Al loro posto il Cadlolo chiese di posizionare gli stemmi delle sue due famiglie, a lui tanto care da chiedermi di lisciare quel piccolo "tetto" che le separava, per evitare che fosse visibile, fra esse, uno stacco. Ne è risultato un manufatto i cui stemmi risultano rientranti rispetto al bordo».

Sello, confermando il valore monetario stabilito allora, e accettato senza batter ciglio dal Cadlolo, parla di «un prezzo di diverse migliaia di franchi: probabilmente è il più caro che ho mai realizzato in vita mia, e per questo occupa un posto speciale». Anche, ma non solo per questo. Il periodo in cui l’orefice fu chiamato all’exploit coincideva con un momento di poca salute: «Mai, in vita mia, ho faticato tanto per raggiungere un risultato di eccellenza». Perché Sello è sempre stato, come dice lui stesso, «estremamente pignolo e perfezionista, tanto da spingermi ad esagerare, letteralmente, con la pratica del violino». Una pratica cui l’artista si era avvicinato alla non più verdissima età di 48 anni, dal niente: «Successe tutto a partire dal giorno in cui al mercato vidi un violino che mi piaceva e che decisi di acquistare per 1’340 franchi. Così, spinto dal fascino di una disciplina in cui non ci si può permettere di bluffare – il che è esattamente in linea con la mia etica – iniziai a prendere lezioni e divenni tanto appassionato da entrare in possesso delle lettere originali della famiglia Paganini, nonché di una collezione di violini, anni dopo donata alla Caritas».

Gli è che il prezioso anello, 15 anni dopo, ancorché sfilatosi per rimbalzare in un antro qualunque, continua a brillare di luce propria. Oro giallo e platino, cesellato, gli stemmi di famiglie nobili e valorose. Gli ingredienti per una grande storia ci sono tutti. Vediamo allora di raccontarla per bene.