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Solduno, dopo il fatto di sangue fuggi fuggi d’inquilini

Dopo il crimine, alcuni affittuari rimasti traumatizzati hanno lasciato gli appartamenti. Due testimonianze: chi è partito e chi è rimasto

(Ti-Press)
27 aprile 2022
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Da quei due immobili in via Vallemaggia a Solduno tanti se ne sono andati. Hanno iniziato a traslocare dopo il fatto di sangue consumatosi nella notte del 21 ottobre scorso: un 20enne sangallese ha sparato, colpendo alla pancia la ex compagna, allora 22enne, abitante nel primo stabile del complesso residenziale. All’entrata del palazzo, i cognomi sui campanelli sono cambiati. Da nostre informazioni, avrebbero fatto le valigie circa dieci affittuari. Anche la giovane vittima ha lasciato l’appartamento. Non è stato solo l’edificio della "scena del crimine" a subire il fuggi fuggi, ma anche l’altra palazzina: una famiglia si è trasferita perché le due bambine, assistendo al fatto, erano traumatizzate. Mara*, che abita ancora lì, racconta: «Sono l’unica "vecchia" inquilina rimasta». Lei da alcuni anni abita nella palazzina che dà sulla strada: «Non ho lasciato il mio appartamento, perché qui mi trovo benissimo e non avevo motivo di andarmene». La notte del 21, sottolinea, «non ero a casa e forse – ci pensa su – per questo motivo non ho vissuto il trauma di chi era presente».

‘Un forte odore di polvere da sparo’

«Quella notte ero in casa; ho sentito gridare in corridoio. Ho messo il naso fuori dalla porta, ma subito sono rientrata chiudendo a chiave e sono andata sul balcone per vedere cosa stesse succedendo». Nina*, invece, è un’ex inquilina del palazzo dove si è consumato il fatto di sangue: un’esperienza ancora vivida nella sua memoria. Il resoconto dalla sua prospettiva è molto lucido; ricorda ancora il persistente «odore di polvere da sparo».

Tornando a quella notte, rammenta Nina, quando la polizia ha compreso che l’aggressore armato era ancora nel palazzo ha ordinato agli inquilini di chiudersi in casa e stare lontano dalle finestre. Per mettere insieme i pezzi esce ancora di casa, scende le scale fino al pianterreno, lì «vedo la ragazza a terra, la porta in vetro frantumata. Per ore e ore non ci hanno più fatto sapere niente. Alle due di notte sono uscita dal mio appartamento e ho chiesto se ci fosse qualcuno. Non si sentiva più niente». Infine giunge la comunicazione degli agenti che informano i residenti che la situazione di pericolo è passata e che si è tornati alla normalità. «Sono stata sveglia tutta la notte».

La nostra interlocutrice ha abitato nel condominio per dieci giorni appena. Si era da poco trasferita e «non avevo ancora disfatto i cartoni». Immediata la decisione di andarsene: «Non mi sentivo più al sicuro, non dormivo tranquilla, tanto che ho dovuto seguire una terapia. Da sola non riuscivo più a rientrare nell’appartamento, ci tornavo sempre accompagnata. In attesa di trovare una nuova abitazione mi sono trasferita dai miei genitori». Nina ha inoltrato la lettera di rescissione del contratto d’affitto: «Un articolo di legge dice che si può dare disdetta per motivi gravi – riferisce –, a questo ho fatto capo». Il testo cui l’interlocutrice fa riferimento è il Codice delle obbligazioni, il terzo capitolo tratta la ‘Disdetta straordinaria’, art. 266g alla voce ‘Motivi gravi’. La ex inquilina tiene a sottolineare che con lei «le proprietarie sono state molto comprensive e gentili, come sempre del resto. Ho potuto lasciare l’appartamento senza che ci fossero obiezioni, dando comunque i tre mesi canonici della disdetta».

L’esperienza è individuale, quindi raccontata da una prospettiva emotivamente segnata che si rifà a una questione privata che, nonostante ciò, ha coinvolto un’intera comunità. Il tragico ferimento ha avuto conseguenze non indifferenti in chi ha vissuto la concitazione di quella notte, ma non solo, anche gli effetti negativi sugli immobili del complesso residenziale non sono stati indifferenti, tenendo conto comunque che all’epoca dell’evento non tutti gli appartamenti erano locati. E, soprattutto, considerando che è stato un episodio straordinario in un quartiere tranquillo. Dal canto nostro, abbiamo chiesto alla proprietà se volesse raccontare dalla sua prospettiva come ha vissuto l’evento e quali conseguenze ha subito. Ma per rispetto alla vittima e per non dare ulteriore adito alla narrazione attorno al caso ha deciso di non rilasciare dichiarazioni.

Il punto sull’inchiesta penale

L’inchiesta penale a carico del ventenne che armato fino ai denti sequestrò e sparò alla ex compagna, condotta dal procuratore pubblico (pp) Roberto Ruggeri, da lunedì scorso ha agli atti la perizia psichiatrica eseguita sull’aggressore dal dottor Markus Weinmann. Secondo l’analisi del perito, il sangallese soffrirebbe di un grave disturbo di una sindrome depressiva e nonostante fosse in grado di capire che le sue azioni erano illecite, non è stato capace di agire secondo tale valutazione. Da qui, è stata ravvisata una lieve scemata imputabilità che potrebbe giocare a suo favore. Tuttavia, medio-alto è il grado del rischio di recidiva, riducibile solamente, secondo l’esperto, con un trattamento psichiatrico stazionario. Il pp, dal canto suo, ha chiesto una proroga di tre mesi della carcerazione preventiva, stato in cui si trova il ventenne aggressore che – difeso dagli avvocati Yasar Ravi e Filip Cerimanovic – sostiene che il colpo di fucile sia stato accidentale.

Villa Légeret, sul mercato per quindici anni

I luoghi della cronaca nera, soprattutto quelli teatro di crimini efferati, per lungo tempo si portano dietro lo stigma. Un caso celebre è quello di Villa Légeret a Vevey, dove nel 2005 due ottuagenarie erano state uccise da un membro della famiglia e dove una donna era sparita. Nonostante fosse in vendita a un prezzo irrisorio – 1,7 milioni di franchi per più di 300 metri quadrati abitabili e più di 300mila di terreno, con vista lago –, per anni la prestigiosa dimora è rimasta sul mercato immobiliare. Più vicino nel tempo e nello spazio, l’omicidio consumatosi nel 2019 in una stanza dell’albergo la Palma au Lac a Muralto, dove era stato ritrovato il corpo esanime di una 22enne inglese. In prigione è finito il suo compagno, un 33enne tedesco. A suo tempo, il nostro quotidiano aveva chiesto al direttore della struttura ricettiva se quel dramma avesse avuto ripercussioni sulle prenotazioni. L’interpellato aveva negato conseguenze negative, così come casi di ‘turismo del macabro’.

*(nome di comodo, quello reale è noto alla redazione)