Lo scavo ha portato alla luce otto tombe con corredi funerari pregiati. La scoperta apre nuove prospettive di studio e lettura sul passato della valle
«Una scoperta eccezionale e inaspettata». L’eccezionalità e la sorpresa dello scavo archeologico che ha riportato alla luce una necropoli di carattere monumentale a Moghegno risiedono nel rinvenimento di diversi oggetti del corredo funerario – e qui sta la sorpresa – risalenti all’età del Ferro (150-80 avanti Cristo), precedente quindi l’epoca romana, della quale nel 1994 era stata scoperta una necropoli (circa 50-150 dopo Cristo) che restituì al patrimonio storico-culturale ticinese quaranta tombe, sempre a Moghegno.
Questa mattina si è svolta a Moghegno la conferenza stampa di presentazione dell’importante ritrovamento, cui erano presenti Simonetta Biaggio-Simona (capa dell’Ufficio dei beni culturali; Ubc), Rossana Cardani Vergani, capa del Servizio archeologia, la squadra di archeologi di terreno Luisa Mosetti e Michele Pellegrini – aiutati da interinali – accompagnati dalla consulente scientifica Rosanna Janke. Gli addetti ai lavori hanno esposto e contestualizzato quanto riportato alla luce in tre settimane di lavoro, sottolineando la positiva collaborazione con la ditta edile impegnata nel cantiere, nonché i proprietari con cui è stato intessuto un dialogo continuo.
Torniamo all’età del Ferro. Poco prima dell’arrivo dei romani, in Ticino viveva la popolazione dei Leponti (qui sta l’eccezionalità, perché loro vestigia sono soprattutto state scoperte nel Bellinzonese), una stirpe celtica i cui manufatti hanno particolari caratteristiche. Proprio grazie a questi elementi peculiari è stato possibile situare nel tempo il sito archeologico che da tre settimane a questa parte sta impegnando la squadra del Servizio archeologia dell’Ubc. La scoperta è storicamente interessante perché apre nuove prospettive di lettura sul passato secolare della Vallemaggia: trovare vestigia leponzie «apre nuovi scenari di studio sul popolamento umano in valle», ha raccontato l’archeologa di terreno e collaboratrice scientifica Luisa Mosetti, tenuto soprattutto conto della ricchezza dei corredi funerari. Lo scavo è il punto di partenza di una ricerca che andrà quindi ben oltre. «Le informazioni sono ancora parziali, tutto è in divenire. Dopo il restauro, verrà svolto lo studio approfondito sui reperti», grazie al quale sarà forse possibile capire le ragioni per cui persone di rango privilegiato abitassero in valle.
Alla pubblicazione della domanda di costruzione, «il Servizio archeologia è stato allertato perché il terreno in questione è in un perimetro d’interesse archeologico», ha spiegato Biaggio-Simona, riferendosi alla necropoli romana scoperta a metà anni Novanta. Dopo i sondaggi di verifica e gli accertamenti, si è perciò pianificato lo scavo d’urgenza su un’area piuttosto estesa. Là, sono state trovate e repertoriate otto tombe a inumazione, «una necropoli di un villaggio sconosciuto. Un’ipotesi potrebbe essere che l’abitato sorgeva dove ora c’è il nucleo medievale di Moghegno». Nei tumuli di forma rettangolare venivano inumati i defunti, accompagnati da corredo funerario distinto per genere. La tomba più ricca è la quarta, in cui era sepolta una donna con un corredo assai prezioso composto da diversi monili in argento, «bracciali, anelli, spille, monete e pendagli, di cui uno con lamina d’oro. Una vera e propria rarità», è stato osservato. "Il carattere monumentale delle sepolture e il pregio degli elementi di corredo rinvenuti trovano confronto – allo stato attuale delle conoscenze – solo nelle necropoli leponzie situate in posizioni strategiche sulle vie dei commerci come Giubiasco e Ornavasso (Verbano Cusio Ossola)", riferiva il comunicato stampa. Resti umani «non sono stati trovati – ha chiarito la consulente scientifica Rosanna Janke –. Questo è dovuto all’acidità del terreno, riscontrata soprattutto nel Sopraceneri, che nei secoli ha corroso le ossa e i resti organici. Sappiamo però, grazie alla disposizione degli oggetti, che i corpi erano inumati con la testa verso il sole che sorge».
In generale, i lavori di scavo, portati avanti con dedizione e impegno, procedono verso il basso e man mano vengono scattate fotografie e fatti disegni di ciò che si trova sotto agli occhi, per la memoria futura. Quando si incontrano oggetti, date la preziosità e la fragilità, vengono estratti degli stacchi che in seguito sono sottoposti a microscavo in laboratorio, dove si procede a pulitura, restauro e catalogazione. Una volta catalogati, gli oggetti sono archiviati in deposito. L’auspicio emerso durante la presentazione di oggi è che questi oggetti pregiati possano trovare una collocazione espositiva, cosicché la popolazione possa goderne e conoscere il passato della regione. Si è quindi fatto riferimento al progettato restauro del Castello Visconteo, per il quale la Città di Locarno ha espresso la volontà di mantenere alcune sale a carattere espositivo.