Gambarogno, non sono solo i danni al patrimonio boschivo a dover preoccupare. Anche gli animali pagano non di rado un alto tributo. Parla un esperto
Una strage silenziosa, lontana dai riflettori della cronaca. Quella della fauna locale, da aggiungere al triste bilancio degli ingenti danni al patrimonio boschivo. I grandi incendi, come quello che ha interessato i monti del Gambarogno in queste ultime settimane, costituiscono spesso una trappola mortale per gli animali che muoiono carbonizzati, dal fumo o a seguito delle ustioni riportate soprattutto agli arti inferiori. Ma mentre alcune specie fuggono impaurite cambiando zona non appena percepiscono il pericolo, altre, purtroppo, soccombono.
Gli animali che tipicamente popolano i nostri boschi hanno sviluppato, da sempre, delle abilità per mettersi in salvo dal pericolo. Gli uccelli se ne volano via, i mammiferi come camosci, cinghiali, volpi scappano velocemente mentre le specie anfibie, i rettili e altre piccole creature scavano cunicoli nel terreno, si nascondono nei tronchi o si riparano sotto le rocce. Ma è chiaro che a dipendenza della tipologia dell’incendio (di corona, di sottosuolo, ecc...) questi rifugi non bastano. Senza dimenticare che molte specie (scoiattoli e ghiri), in inverno, cadono in (semi-)letargo. Il rischio è che non si risveglino più. La situazione si fa più grave se nel computo inseriamo anche i milioni d’invertebrati e insetti che non sono in grado di trovare riparo. Stime affidabili sul numero di animali che periscono nei roghi nel nostro cantone non ne esistono. Ma non è per questo che non vengono presi in considerazione e conteggiati tra i danni devastanti degli incendi boschivi. Perché per la biodiversità e l’equilibrio degli ecosistemi sono indicazioni molto importanti.
«Negli incendi boschivi che solitamente interessano il Ticino, di breve durata e relativamente lenti nella propagazione, la nostra avifauna e la fauna terrestre risentono fortunatamente poco delle conseguenze. Le vie di fuga permettono loro il più delle volte di mettersi in salvo. Il problema si pone più che altro se, all’interno del perimetro interessato dal rogo, rimangono delle sacche risparmiate in cui gli animali frettolosamente convergono. Se restano intrappolati e circondati dalle fiamme, è chiaro che non hanno scampo» – spiega Andrea Stampanoni, consulente scientifico dell’Uffico caccia e pesca – Ripercussioni ve ne sono dunque in ogni caso. Ogni incendio provoca danni all’ecosistema. Tuttavia, nella sua dinamica, porta, a volte, anche un vantaggio. Nel senso che contribuisce a recuperare dei particolari habitat, come le aree prative invase dalla vegetazione con l’abbandono degli alpeggi e l’avanzare del bosco. In alcuni casi quindi le fiamme favoriscono il ritorno di specie purtroppo svantaggiate da questi cambiamenti, come il fagiano di monte e la coturnice. Dopotutto si tratta di una ripartenza da zero. Per gli studiosi, è quindi interessante verificare le dinamiche che si innescano a seguito di questa, traumatica, situazione».
Gli animali si rifugiano altrove per fare ritorno una volta che la vegetazione, grazie anche alle ceneri della combustione, tornerà a ricoprire il sottobosco. Mantenendo così viva la speranza di un successivo recupero ecologico. Ma questo avverrà solo dopo molti mesi. «È difficile rispondere alla domanda “dopo quanto?”. Oltre allo spavento, il rogo priva gli animali del cibo e toglie loro la protezione assicurata dalla vegetazione. Nel caso del Gambarogno, mi è stato riferito che il comparto interessato è desolatamente vuoto. Non si sente nemmeno più un passero cinguettare; gli animali che hanno potuto fuggire, si sono spostati in altri versanti della montagna o sui rilievi vicini. Anche il rumore degli elicotteri e dei mezzi di spegnimento li ha sicuramente traumatizzati».
Esiste un programma di monitoraggio specifico? «No. Noi sfruttiamo l’occasione per capire il funzionamento di certe dinamiche. Alcune specie animali, già monitorate, come il camoscio, la coturnice, la lepre, il fagiano, sono tenute normalmente sotto osservazione. Nell’ambito dei censimenti periodici si può dunque capire qual’è la portata del danno. Sono comunque osservazioni che vanno estese su periodi di più anni. Se del caso, anche la pressione venatoria viene allentata proprio per favorire il ritorno a una certa normalità».
Preoccupazioni sorgono anche per quanto riguarda la stabilità del terreno. Gli specialisti dovranno valutare i potenziali rischi di smottamenti in caso di forti piogge; rischi che possono essere accentuati dalla distruzione del patrimonio forestale, pensando soprattutto alle radici con la loro funzione di trattenuta del terreno.