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‘Non esistono pugili dotati, esiste solo il duro lavoro’

Intervista a Ardian Suli, il ‘Carnera’ del Boxe club Locarno che a Ginevra, a soli 22 anni ha conquistato la cintura nazionale dei supermassimi

30 dicembre 2021
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È uscito dall’acqua, dov’era una promessa, per salire sul ring. Ha tolto la cuffia e indossato i guantoni. In pochi anni di dura preparazione il 22enne ha compiuto la grande impresa di portare a Locarno la cintura dei supermassimi élite svizzeri. Lo ha fatto alla fine di un percorso difficile, contro pugili nettamente più esperti di lui. Ad Ardian Suli, il “Carnera” del Boxe club Locarno, non bastava una medaglia qualsiasi, lui voleva l’oro che è arrivato alla fine di un match intenso, dominato dall’inizio alla fine. Aveva promesso a sé stesso che quella finale a ogni costo l’avrebbe vinta, dopo aver sofferto parecchio l’avversario precedente, in semifinale. Non poteva fallire. Soprattutto perché nel mirino lui ha messo i Giochi di Parigi del 2024.

L’allievo di Americo Fernandes, un vero gigante di 196 cm per 120 kg, ha così scoperto la passione per il pugilato e da allora non ha più smesso di allenarsi; ha messo subito in luce doti non comuni dove la sua potenza e la sua aggressività pian piano sono emerse. Passa ore in palestra e a correre tutti i giorni. Ma soprattutto malgrado abbia solo 22 anni si sente molto sicuro dei propri mezzi, senza voler fare lo spaccone. Vincere è stata una emozione forte, perché ha comportato tanti sacrifici. La cintura gli ha dato ancora più motivazione. Lo abbiamo intervistato.

Ardian, com’è nata questa tua passione per il pugilato?

Vengo da una famiglia di nuotatori e quindi, seguendo i consigli dei genitori, ho iniziato col nuoto agonistico a Tenero. Mio padre mi ha sempre detto che è uno sport sano, che fa bene allo sviluppo del corpo e della muscolatura. Ho fatto parte dei quadri della nazionale e i risultati non mancavano. Però io ho sempre guardato con un occhio d’interesse alla boxe. Avevo un piccolo sacco a casa e spesso tiravo pugni sognando di emulare Mike Tyson e Tyson Fury”.

Poi, un giorno, a Tenero, per caso incontri Americo Fernandes, il suo futuro coach...

Gli ho chiesto se potevo provare una seduta di allenamento. E da lì non sono più uscito dalla palestra. Era il 2015.

Dura convincere i genitori della tua idea?

Sì, all’inizio non volevano lasciassi il nuoto. Ho detto loro che avrei fatto solo qualche allenamento di pugilato di prova. Poi hanno visto il mio entusiasmo e hanno imparato a conoscerlo. Adesso fanno il tifo per me. Vengono a vedermi alle riunioni.

Impiegato di una ditta della regione come lattoniere, al termine della giornata lavorativa si fionda in palestra. In alternativa esce a correre, nei weekend non di rado incrocia i guantoni. Pochi i giorni liberi a disposizione. Chi ama la nobile arte, lo deve metter in conto. La boxe insomma non è solo un grande sport ma anche un modo di concepire e di vivere la vita.

Secondo me non esiste il pugile dotato, tutti i grandi campioni sono il frutto di un duro lavoro. Ci vuole tanta voglia, abnegazione. Ci sono talmente tante rinunce che alla fine uno non ci pensa nemmeno più.

Quale insegnamento ti ha trasmesso questo sport?

Ho imparato molto dal pugilato. Da adolescente ero un po’ un balordo come molti miei coetanei, ho fatto le mie stupidate come molti ragazzi, in qualche rissa sono finito. Grazie ai guantoni ho imparato a indirizzare in modo positivo l’esuberanza. Ora sono cambiato. Ho appreso a evitare le provocazioni, non sono un attaccabrighe e cerco di trasmettere questi insegnamenti anche a mio fratello e ai giovani. Non mi ritengo un angelo, sia ben chiaro, ma agli adolescenti vorrei far capire di non fare cavolate. Perché prima o poi si pagano a caro prezzo. Grazie alla boxe ho imparato a conoscermi in profondità.

Quali ritieni siano le caratteristiche di un buon pugile?

Nella boxe non fai strada usando solo la potenza dei colpi e non puoi mentire. Vince chi usa la giusta tattica, chi ha il coraggio di osare e lavora di intelletto per capire i punti deboli del rivale. Al termine di ogni incontro si fa una disamina di ciò che ha funzionato e ciò che va migliorato. Non si è mai alla fine del processo di apprendimento. Anche i grandi campioni ripassano con spirito critico i propri match. Inoltre non devi mai dimenticare che le tue vere amiche su un ring sono le gambe. Se cedono, sei finito, nessuno più ti aiuta. Per questo è importante seguire sempre la disciplina.

Qual è il tuo rapporto con Americo Fernades, allenatore e mentore?

Per me è come un padre, sempre pronto a consigliarti, a spronarti, a sostenerti nei momenti difficili, capisce anche le tue debolezze. Inoltre si emoziona più di me a bordo ring. Lui studia sempre le caratteristiche del pugile che avrò di fronte a consiglia le tattiche da usare per ogni tipo di avversario.

Mentalmente qual è il tuo punto di forza?

Credo nei mie mezzi. Se sei sicuro del lavoro di preparazione che porti avanti, se sei certo che stai dando il massimo, combatti con meno nervosismo e imbarazzo. Nella semifinale di Ginevra sono salito sul ring troppo teso, avevo paura di sbagliare. Ho sofferto. Ma prima del match della finale mi sono detto: sei pronto, più di così non puoi dare. Ho vinto con un verdetto ampio.

Hai paura di deludere amici e staff tecnico?

No, più che altro i genitori. Ho sempre un grande seguito di familiari e parenti ai miei incontri e perdere dispiace a tutti. Comunque quando salgo tra le 16 corde del ring non sento più nulla, nemmeno gli incitamenti del pubblico talmente sono concentrato sul mio obiettivo.

Come ti prepari prima di affrontare un match? Ascolti musica?

No, niente musica. Non mi è d’aiuto. Perché ti distrae e ti porta in una sorta di dimensione che non è la tua. Ti carica magari anche troppo, è una sorta di pericoloso anabolizzante e questo non va affatto bene. Focalizzo tutta la mia attenzione sull’avversario e su ciò che devo fare. La musica mi è d’aiuto se vado a correre o nel fare ginnastica».

Cosa differenzia la boxe dagli altri sport?

Il pugilato è forza e convinzione. Se non ti concentri, rischi di farti davvero male, perché i colpi dell’avversario entrano nella tua figura. Sei solo e non puoi permetterti il minimo errore o rilassarti. Negli altri sport, penso soprattutto quelli di squadra, se uno non è in giornata l’allenatore lo sostituisce e la tua pessima prova non sempre finisce col condizionare il risultato.

Qual è il tuo rapporto con i social? A 22 anni spopoli già?

Assolutamente no. Sono quasi sparito da Instagram e Facebook, non posto foto né mi gongolo delle vittorie. Non ho nulla da dimostrare agli altri e non presto attenzione ai provocatori.

Per finire, un’occhiatina a Parigi, destinazione ancora lontana...

Grazie alla selezione nazionale potrò partecipare a tornei internazionali e fare esperienza. Nella mia categoria la concorrenza è tanta. Dovrò farmi le ossa, misurarmi con le migliori scuole europee, aggiungere match a match per poter staccare, chissà, spero un giorno il biglietto per le Olimpiadi. Lavorerò sodo per arrivarci.