Da un messaggio del Municipio prendiamo spunto per scrivere di orti comunali: di quanto facciano bene alla natura e al benessere psicofisico delle persone
Quando l’autunno è agli sgoccioli, chi coltiva un orto sa che è il momento buono per preparare il terreno e cospargerlo di concime prima che arrivi l’inverno con le sue gelate; in attesa della semina primaverile. Nell’autunno che ci siamo lasciati alle spalle, il Municipio di Locarno ha preparato il terreno al progetto di orto comunale pubblicando un messaggio con richiesta di credito (quasi ottantamila franchi) per la sua realizzazione in zona Morettina, con sedici appezzamenti (di 15 metri quadrati ciascuno) fra il fiume Maggia e il Centro giovani: un sedime attualmente senza destinazione e di facile accesso. Il legislativo deve ancora esprimersi. Qualora il progetto pilota funzionasse, l’amministrazione comunale è intenzionata a destinarvi altri terreni (già individuati), dando così concreto riscontro all’interesse manifesto della cittadinanza. Rilevante infatti ci sembra essere la spinta “dal basso”: gli autori del messaggio riportano che molte richieste in questo senso sono arrivate da associazioni di quartiere e privati cittadini, per iscritto e a voce, che domandano spazi aperti su suolo pubblico in cui svolgere attività collettive che promuovano lo scambio di esperienze.
Negli ultimi tempi, in Ticino si sono diffusi gli orti scolastici con scopo didattico (una quarantina su tutto il territorio e nei vari livelli), così come sono diverse le realtà comunali, nel Sopra come nel Sottoceneri, in cui si sta dando spazio a un’usanza molto comune nella Svizzera centrale e in Romandia già dai primi decenni del Novecento. Nel passato ticinese questa tradizione non ha attecchito, forse perché fino all’altro ieri è stato un cantone rurale. «A nord delle Alpi, è stata un’attività che ha accompagnato gli immigrati che lavoravano nelle fabbriche», racconta Marco Moretti, biologo e ricercatore all’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio (Wsl). L’attività era perciò soprattutto alimentare, una fonte di sostentamento integrata al reddito del lavoro alla catena. «Fare l’orto era anche un momento di ritrovo con i propri compaesani, un antidoto alla malinconia», prosegue.
«La vita dura di lavoro nei campi del nostro passato ha sicuramente influito alla non diffusione della tradizione degli orti cittadini, come è invece avvenuto in altre regioni della Svizzera (soprattutto nei grandi centri abitati, come ad esempio Zurigo; ndr)», tanto che è stata istituita un’associazione mantello nazionale, la Federazione svizzera dei giardini familiari, in cui il Ticino non è rappresentato. Tuttavia qualcosa sta cambiando e le richieste alle autorità comunali di destinare appezzamenti alla coltivazione “familiare” sono aumentate. Le ragioni possono essere ricercate nella pianificazione degli insediamenti, ma anche nella riscoperta del piacere e dei benefici delle attività svolte nella natura.
Il fenomeno globale dell’urbanizzazione trasforma il territorio in funzione delle esigenze abitative e lavorative umane a discapito dell’habitat naturale, ciò porta alla sua frammentazione, crea isole di calore, inquina a livello fonico e luminoso, introduce specie invasive. Una pianificazione che si fa «costruendo in maniera centripeta, lasciando poco spazio al verde», questo spinge le persone a cercarlo altrove, quando non hanno un giardino proprio. Un’esigenza che nasce anche dalla spinta di una mentalità nuova, più sensibile e interessata alla natura e al contatto con essa, sintetizza Moretti. Ma non è tutto, complice forse la pandemia che ci ha costretti a reinventare la nostra quotidianità chiusi fra le quattro mura domestiche, abbiamo riscoperto l’importanza dello spazio verde e delle attività all’aria aperta, con la curiosità di sperimentare l’autoproduzione.
Gli orti sono ambienti ricchi di specie, vegetali e animali, e contribuiscono a favorire la biodiversità e il benessere psicofisico di chi vi si dedica. Non ci sono dubbi, gli orti urbani sono «una risposta alla densificazione e un toccasana per la biodiversità», considera il nostro interlocutore, aggiungendo che «non c’è niente di meglio di un orto per l’osservazione dell’interazione di piante e insetti. Si tratta di un piccolo ecosistema, un laboratorio a cielo aperto in cui osservare il lavorio di api, lombrichi, coccinelle: per gli insetti è un vero e proprio paradiso». In un contesto urbano poi questa attività assume una particolare importanza. Lo spazio cittadino lasciato verde contribuisce all’interconnessione degli habitat, favorendo altresì la possibilità per le persone di vivere a contatto con la natura, migliorandone la qualità di vita. Da un’indagine compiuta da biologo e colleghi – riporta ancora – è emerso che «fra gli intervistati, le persone con un’alta concentrazione di biodiversità nel proprio orto – non ricercata consapevolmente – si sentivano più appagate e soddisfatte». Oltre a costituire un’occasione per il tempo libero, l’insieme di appezzamenti favorisce la socializzazione e la condivisione: «Ognuno coltiva il suo orto, ma allo stesso tempo si agisce in maniera collettiva su una superficie più ampia, cercando di favorire anche attività condivise, come può essere la costruzione di uno stagno, di passaggi per i ricci e così via».
Chiudiamo col ricordo personale di alcuni pomeriggi passati a strappar erbacce e rivoltar zolle nell’orto di un’amica, un lavoro semplice, senza grandi pretese. Il profumo persistente di terra entrava nelle narici e – non appena le dita affondavano – le preoccupazioni svanivano. Le mani nella terra svuotano la testa.