All’indomani del fatto di sangue di Solduno, il coordinatore Massimo Binsacca spiega come agiscono i volontari del servizio di supporto
«Lavoriamo con l’ascolto attivo, cerchiamo di essere il più possibile presenti, di rispondere a bisogni anche primari (come un bicchiere d’acqua, cibo, una coperta se è freddo), ascoltiamo i pensieri, ciò che passa nella testa. L’essenziale è esserci in quel momento». In maniera molto semplice Massimo Binsacca, coordinatore del Care Team Ticino, traccia il ruolo del caregiver quando viene richiesto l’intervento del servizio di supporto. Durante un intervento, aggiunge, basilare è la comunicazione, ma anche una buona anzi buonissima dose d’umanità: «Sono bandite le “frasi killer” quali “buongiorno, come sta?”».
Interpellato all’indomani del fatto di sangue consumatosi in via Vallemaggia 51a a Solduno – in cui una 22enne è rimasta gravemente ferita dopo che l’ex fidanzato ha rivolto un fucile contro di lei e ha esploso un colpo –, il coordinatore spiega come agisce in generale il Care Team. Innanzitutto, «il nostro servizio è attivato su richiesta degli enti di primo intervento, quindi polizia e servizio autoambulanze. Generalmente, chiediamo alle persone coinvolte se vogliono il nostro supporto, dipende dai casi. Ad esempio ieri sera, la polizia valutando la situazione ha attivato subito il picchetto, così abbiamo potuto essere presenti al momento dell’arrivo in ospedale». Tuttavia, «capita anche che i familiari non vogliano il nostro intervento e quindi rientriamo».
Il picchetto è composto da due persone, «un uomo e una donna, questo per svariate ragioni, fra cui motivi religiosi o culturali»; in generale è attivo 24 ore al giorno per l’intera settimana. Il gruppo di volontari conta quaranta unità (quest’anno ce ne sono dodici in formazione) che provengono da svariate località (incorporati nelle sei regioni della Protezione civile) e copre tutto il territorio cantonale più la lingua Mesolcina e Calanca.
Dal punto di vista dei profili le persone che si mettono a disposizione sono molto eterogenee: «Ci sono psicologi, educatori, docenti, soccorritori d’ambulanza, persone che lavorano in uffici. Volontari che hanno predisposizione all’aiuto del prossimo», sottolinea. In media le azioni durano sette ore, «ci sono quelle che terminano dopo due, mentre altre è possibile si protraggano per più giorni, questo a dipendenza dei bisogni delle persone coinvolte», illustra Binsacca.
Incidenti e fatti di cronaca nera possono essere eventi traumatici, con un strascico emotivo non indifferente. A questo proposito Binsacca rimarca che «i caregiver seguono una formazione specifica che prevede anche la sensibilizzazione su situazioni particolarmente drammatiche e le possibili derive». I volontari però devono avere pure risorse personali e sapersi ritagliare del tempo per sciogliere possibili tensioni dovute allo stress di un intervento – aggiunge – facendo attività che li facciano stare bene. Inoltre, sono seguiti dallo stesso coordinatore: «Nelle 24/48 ore successive a un intervento, li contatto e li faccio parlare, così da attenuare ulteriormente la tensione», prosegue.
Ma non finisce qui: «Una volta al mese si tiene un incontro di supervisione con una psicologa durante il quale gli operatori possono discutere degli interventi effettuati e possono ricevere consigli e strumenti» per fare fronte a possibili situazioni potenzialmente problematiche. Qualora si verificassero problemi gravi, si propone al volontario una psicoterapia.