Dalla foto sul National Geographic alla grande passione per gli animali della ‘sua’ Lavizzara
Fra le case del piccolo borgo di Broglio, nel Comune di Lavizzara, incontriamo Fabio Zoppi, 65enne pensionato che, grazie alla sua passione per gli animali e il territorio, fu immortalato in una fotografia per il National Geographic.
Raccontar la vita di un uomo, cercando di renderla al meglio in mezza pagina di giornale, non è sempre facile. Perché, in uno spazio così breve, bisogna riassumere l’esistenza di una persona, fatta di continue somme e sottrazioni fra momenti belli e altri meno, fra successi e fallimenti, fra sbagli e scelte giuste, fra cambiamenti caratteriali, fisici, emotivi.
Ancor più complicato è catturare il tutto in una fotografia. Eppure qualcuno ci è riuscito, arrivando persino a essere pubblicato da una delle più grandi istituzioni scientifiche ed educative al mondo. Ma prima di giungere a questo torniamo al soggetto immortalato nell’immagine.
L’uomo con in spalla una capretta bianca, si chiama Fabio Zoppi, classe 1955 e originario della Valle Maggia. "Fabietto", così conosciuto e chiamato da tutti, ci accoglie nella sua casa a Broglio. Appena entrati veniamo subito avvolti dal tepore della stufa, rigorosamente a legna, e da una tazza fumante di caffè. Nella rustica cucina, dove ci sediamo per parlare, spiccano innumerevoli cartoline fatte dai nipotini o figli di amici, posizionate sulla cappa, quadri raffiguranti fiumi della valle e non, e alcuni nidi di uccellini, bottini preziosi, trovati durante le numerose salite di Zoppi dalla sua abitazione ai monti, all’Alpe, insieme alle sue capre.
«La storia della fotografia è molto bella, perché è successo tutto per caso. Mio nipote nel 2011 venne da me, insieme a un suo amico fotografo, per una tesina. Raccoglieva alcune storie della valle e io gli raccontai di quando, insieme a un prete, mi misi a fare "contrabbando di capre" dalla Svizzera all’Italia – inizia a raccontare Zoppi –. Negli anni ’80 lavoravo oltre confine come manovale e pastore. Mi accorsi che le capre non erano forti e robuste come le nostre, perché frutto di meticci. Allora, decisi di esportare qualche esemplare di nere della Verzasca da accoppiare a quelle italiane».
Ma all’epoca la cosa non era tanto semplice. Le leggi erano molto restrittive, esemplari autoctoni bovini, ovini e altre specie non potevano essere "espatriate", soprattutto se prive di documenti. Così Zoppi e il prete decisero di trasferire gli animali usando il vecchio metodo, "andando di frodo".
«Varcavamo il confine da Neggia a Indemini, dove c’è il sentiero dei contrabbandieri. Non facevamo nulla di male, però dovevamo stare attenti, perché erano gli anni di piombo e all’epoca giravano anche tanti terroristi rossi e neri. Rischiavamo di essere confusi con loro, dato che, come noi "montanari" anche loro portavano la barba lunga», confessa Zoppi ridendo, a ricordo di quegli attimi di follia, nati – oltre che per la voglia di portare in auge una razza ovina – come sorta di reazione alla volontà di rompere limiti e divieti, imposti dai confini, al passaggio di merci e persone da una parte all’altra di un territorio. I due faranno avanti e indietro dal confine solo per un paio di volte, senza mai essere scoperti o presi dalle autorità.
«Mio nipote s’interessò della vicenda e così, oltre a raccogliere la mia testimonianza, mi fece una fotografia, scattata dall’amico. L’immagine poi venne esposta in una mostra e lì venne notata da un fotografo, vicino alla rivista del National Geographic, che gli propose di partecipare al concorso organizzato da loro».
E così, lo scatto venne iscritto, sotto la categoria "gente e popoli". Fra oltre 30mila immagini partecipanti, quella che immortalava "Fabietto" arrivò sesta e fece il giro del mondo. «Mia sorella durante un viaggio a Londra mi disse di aver visto la fotografia su un cartellone pubblicitario».
Ma come nasce l’affetto e il profondo legame fra Zoppi e quegli animali con le corna? «In passato ho avuto problemi di tossicodipendenza. Iniziai per curiosità. Per emulazione degli idoli di allora. Fu proprio l’incontro con le capre a farmi smettere. Sembra buffo, ma l’idea di farmi ancora voleva dire tradirle in qualche modo. Non so come e perché si creò questo feeling. Sono intelligenti, genuine e ognuna ha il suo carattere. Forse c’entra il fatto che il mio segno zodiacale cinese è la capra», ride ancora l’intervistato.
Nel ’98 uscì nelle sale cinematografiche un film che si intitolava "L’uomo che sussurrava ai cavalli", potremmo riassumere così forse Zoppi "l’uomo che sussurrava alle capre, agli asini, alle marmotte e alle vipere", perché sarebbe riduttivo parlare solo di una specie.
«Non c’è periodo della mia vita dove non ci sia anche la presenza di un animale. Per me è un dono. Mi ricordo che alla mia cresima mi conciai da buttar via, perché avevo macchiato l’abito con fango dello stagno e delle rane. Oppure al mio matrimonio, arrivai zoppicante all’altare perché un mio asino, mi aveva tirato un calcio al piede. Una volta ho curato una marmotta ferita, girava in casa mia tranquilla, e anche una vipera. La lasciai libera di circolare per la camera da letto tutta la notte. Mi dimenticati di averla lasciata così. Ricordo ancora oggi le urla della mia ex moglie… E per finire, in Sud America ho fatto il bagno con gli alligatori. Non avevo paura. Non mi fanno paura i "lupi neri", mi fanno più paura gli uomini».
Ritornando alle capre, cosa è poi stato delle Nere di Verzasca portate in Italia? «Oggi a Luino, le capre sono quasi tutte nere, tutto merito di Tobia, il primo becco che portai e che, come una famosa leggenda verzaschese, ha fatto il suo lavoro».