Un drammatico problema trasversale a tutta la società. Implicazioni e sostegni? L'esperienza della psicoterapeuta presidente di Casa Armònia
“Quando sono arrivata a Casa Armònia ero persa, triste, distrutta (...) Mi avete insegnato tanto, avete dato una spinta enorme a me e ai miei figli (...) oggi mi sento imbattibile”: sono alcuni passaggi di una lettera inviata da una ex ospite alla struttura del Locarnese – a indirizzo riservato – che accoglie donne vittime di violenza domestica e i loro figli. A varcarne le soglie sono donne pervase da paura, sconforto, senso di oppressione e impotenza accumulati nel tempo, spiega Linda Cima-Vairora, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Armònia a cui la Casa fa capo. L’abbiamo interpellata in vista della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, in calendario domani. Da quella fisica a quella sessuale, da quella economica allo stalking: compenetrata a tutte vi è la violenza psicologica – generata dalla cultura del possesso e del controllo – che anche da sola può annientare le vittime col suo panorama quotidiano fatto di umiliazioni, minacce, isolamento. Si tratta di una condizione generatrice di profonda sofferenza che può estendersi anche ai figli che vi assistono, col rischio oltretutto che introiettino e riproducano gli stessi schemi comportamentali nelle loro relazioni.
Nell’ambito di una dimensione intima e chiusa come quella domestica, chiedere aiuto non è facile. In diversi casi è paradossalmente la preoccupazione per i figli che fa da deterrente: tenere unita la famiglia è considerata come una priorità per il loro bene. Non è dunque raro che diverse donne che riescono a compiere il passo dell’allontanamento provino sentimenti ambivalenti tra i quali figurano vergogna e senso di colpa per aver lasciato la propria casa e il proprio partner. A mantenere le vittime nella spirale di violenza sono anche fattori di ordine finanziario, così come il timore del giudizio della famiglia e in alcune situazioni la possibilità di perdere il permesso di soggiorno. «Può essere il caso – fa l’esempio Cima-Vairora – di una moglie straniera che vorrebbe separarsi, ma teme la minaccia da parte del marito di dover rientrare al proprio Paese senza ottenere l’affidamento dei figli».
Vittime e autori
Dal rapporto di attività del 2019 di Casa Armònia risulta che lo scorso anno sono state ospitate 4 donne svizzere, 3 italiane, 2 brasiliane e 4 provenienti rispettivamente da Colombia, Kosovo, Siria e Sri Lanka; la loro età era in prevalenza tra i 30 e i 60 anni e si trattava soprattutto di casalinghe e senza lavoro. «Succede – spiega la presidente – che le restrizioni sociali alla quali alcune donne migranti vengono obbligate non permettano una buona integrazione e l’apprendimento della lingua locale, ciò che influisce negativamente sulla possibilità di chiedere sostegno. D’altra parte, le persone autoctone con una buona posizione nella società hanno più risorse, conoscono meglio il territorio e trovano più facilmente aiuto tra i conoscenti. Per cui la maggior parte delle donne che si rivolgono a noi vivono in condizioni socioeconomiche disagiate». I casi che arrivano alla struttura sono dunque solo una minima parte non rappresentativa del totale: «Due storie mi hanno colpito particolarmente all’inizio della nostra attività: la richiesta di aiuto e la testimonianza di due mie compagne di studio, che confermano come la violenza domestica sia trasversale». Quanto agli autori di abusi sulle donne giunte alla struttura lo scorso anno, si trattava soprattutto di uomini svizzeri e italiani, dai 40 ai 60 anni, la cui attività spaziava dall’ingegnere all’educatore, dal senza lavoro al pensionato.
Una tappa. E poi?
Casa Armònia – come la sua omologa luganese Casa delle donne – accoglie coloro che per un certo periodo necessitano di vivere in un ambiente protetto e ha l’obiettivo di offrire un sostegno per trovare opzioni valide alla situazione di disagio. «Le maggiori difficoltà per le operatrici si presentano quando una donna non riesce o non desidera comunicare le vicende vissute oppure quando la decisione di chiedere aiuto non è stata completamente presa da lei, ma suggerita». Quanto alle maggiori soddisfazioni, per la nostra interlocutrice sono «certamente quando una donna riesce a mettere in atto cambiamenti positivi nella propria situazione di vita”, come è il caso della mittente della lettera citata. Ma non è sempre così. Al momento dell’uscita dalla struttura gli scenari sono tre: c’è chi inizia una nuova vita in autonoma, chi torna a casa dal partner e chi invece deve lasciare la Svizzera.
L’anno della pandemia
Nel 2020, dati aggiornati a novembre, a Casa Armònia sono state ospitate 11 donne con 9 bambini. «Per quanto riguarda le nostre strutture possiamo dire che i numeri sono stabili. Durante le prime settimane del lockdown non abbiamo avuto richieste di ascolto o di accoglienza da parte delle donne, questo perché il nemico era vissuto al di fuori del privato: le persone sono state confrontate con la paura ancestrale della morte. In tale contesto l’uomo problematico aveva la donna sotto controllo e lei era consapevole che molti servizi di sostegno erano chiusi. A partire dagli allentamenti ad ora si è tornati alle situazioni vissute precedentemente».
Legge migliorata
Considerando gli interventi della polizia, la violenza domestica è in continuo aumento.
Tendenza preoccupante (Ti-Press / Infografica laRegione)
«È importante che i servizi ricordino costantemente la loro presenza e che i Cantoni e la Confederazione potenzino le misure di prevenzione». A livello di apparato legale qualche passo in avanti è stato fatto: il 1° luglio scorso sono entrate in vigore delle modifiche della legge federale per migliorare la protezione delle vittime di violenza domestica e stalking. I principali punti introdotti sono il fatto che l’abbandono di un procedimento in corso può essere deciso solo dall’autorità penale e non più dalla vittima (tutelandola così dalle pressioni); la facoltà di obbligare l’imputato a seguire un programma rieducativo contro la violenza; e la possibilità di sorvegliare con dispositivi elettronici i divieti di avvicinamento alla vittima.
Piano d'azione femminista
Il collettivo femminista Io L'8 Ogni Giorno sta elaborando dal canto suo un Piano d’azione contro la violenza domestica da presentare alle autorità e alla cittadinanza. Tra le richieste vi è l’istituzione di un numero di emergenza a tre cifre specifico per questo tipo di problema gestito non dalla polizia ma da personale femminile qualificato. Altre proposte sono l’allestimento di una campagna di informazione online, alla tv e con manifesti nelle strade; adibire le farmacie a luoghi dove le vittime possano chiedere aiuto, anche con una parole chiave; e la garanzia di un reddito d’emergenza da destinare alle donne che si allontanano da situazioni di abusi. Insomma, rafforzare e far sapere che esistono alternative sicure al subire violenza è un messaggio che deve diffondersi il più possibile: per aiutare le vittime, scoraggiare gli autori e sensibilizzare tutta la popolazione.