Ticino

Violenza sulle donne, un piano per ‘una presa a carico completa’

Il collettivo io l'8 ogni giorno propone un ciclo d'incontri sul fenomeno, al fine di elaborare una serie di misure adeguate per il sostegno alle vittime

‘La figura della vittima è stigmatizzata dalla passività. Rivoluzionaria è la vittima che invece reagisce e s'organizza collettivamente' (foto Ti-Press)
16 settembre 2020
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Pressante è sicuramente l'aggettivo che meglio descrive la necessità di realizzare una rete che si occupi della presa a carico delle donne vittime di violenza maschile in maniera completa e capillare. Un insieme di servizi (chiaro e facile da riconoscere e a cui è pratico rivolgersi) che dia la possibilità di percorrere una strada che sostenga le vittime a 360 gradi, facilitando non solo le richieste di aiuto ma anche il cammino, spesso travagliato e complesso, di uscita dalla violenza.

Si tratta di far sì che una donna vittima di violenza non si senta sola e non debba affrontare il lungo percorso di risalita unicamente con le sue sole forze. Questa necessità è emersa durante le discussioni fatte all'interno degli incontri del collettivo femminista Io l'8 ogni giorno, in particolare nel delicato periodo del lockdown. Da quelle discussioni è emerso il bisogno di proporre un ciclo d'incontri per discutere e riflettere su un fenomeno che non è adeguatamente tematizzato all'interno delle istituzioni e per questo motivo orfano di risposte e aiuti idonei. Alcune idee a riguardo hanno già preso forma e le si vorrebbe formalizzare in proposte concrete da sottoporre alle autorità proponendo un Piano d'azione femminista contro la violenza sulle donne.

Affinché il Piano d'azione sia ben definito, il collettivo propone un ciclo d'incontri sulla violenza e le sue diverse forme (in calce, le informazioni relative al primo). Il proposito è elaborare una serie di misure concrete volte a combattere il fenomeno da sottoporre alle istituzioni.

‘Per un sostegno completo e umano’

Di ragioni e necessità d'innovare e potenziare il sostegno e l'accompagnamento per le donne vittime di violenza maschile ne abbiamo discusso con Alessia Di Dio, del collettivo Io l'8 ogni giorno, e Monica Bisogno, dell'Associazione Dialogos. Le due voci femminili si uniscono in una sola. «I casi di violenza sono tantissimi, pochi arrivano in polizia, rari sono quelli che arrivano sui banchi di tribunale». Purtroppo, affermano, la tendenza è nascondersi dietro una statistica fallace e ben poco indicativa, col peso dei casi sommersi sulle spalle.

Per poter accogliere le vittime di violenza e aiutarle a uscire dalla situazione pericolosa, a modo di vedere delle militanti, è essenziale ripensare e sviluppare le modalità di segnalazione e i servizi di sostegno: «Una forma di aiuto inadeguata e superficiale che vuole che sia la vittima a farsi carico del percorso, ad avere il coraggio di denunciare». E chiariscono: «Rivolgersi prima di tutto alla polizia non è sempre possibile. Bisogna tenere conto delle difficoltà che una donna può incontrare mettendosi in contatto con gli agenti, soprattutto vanno tenute ben presenti implicazioni e conseguenze che tale situazione complessa e dolorosa possa avere sulla vittima».

Un numero a tre cifre fra le proposte

Le proposte concrete finora formulate dal collettivo sono l'attivazione di un numero di telefono a tre cifre, gestito non dalla polizia ma da personale femminile formato. E ancora: una politica di sostegno attivo che accompagni le vittime nei vari passi da compiere. «C'è bisogno di una forte rete di ancoraggio, affinché le vittime non si sentano abbandonate, ma siano invece seguite e sostenute al di là dell'urgenza iniziale». Fra le idee proposte pure la possibilità di chiedere aiuto tramite sms, una modalità semplice e sicura in taluni casi; oppure che le farmacie possano essere luoghi dove chiedere aiuto, magari esprimendo il disagio attraverso una parola d'ordine (come in Spagna); così anche più luoghi sicuri e anche posti letto per uomini abusanti (sono due in tutto il Cantone). Inoltre, si propone la garanzia di un reddito d'emergenza per le vittime di violenza e che siano offerti loro servizi volti a facilitarle nelle pratiche amministrative.

Una costruzione collettiva

«La costruzione del Piano d'azione deve essere collettiva; si tratta di un processo essenziale e rompere il silenzio è un'azione che va fatta insieme, anche attraverso i momenti d'incontro e discussione, affinché ci sia il consolidamento di una coscienza collettiva femminista», spiegano. Perché «in fin dei conti ogni donna è purtroppo un'esperta in questo campo: tutte siamo confrontate con la violenza, in varia misura e in vario modo. Quindi, noi donne sappiamo di cosa abbiamo bisogno, non solo dai punti di vista giuridico e istituzionale, ma anche sociale e psicologico, soprattutto, umano». La partecipazione di Monica, fondatrice di un'associazione di auto-aiuto per le vittime di violenza sessuale è in questo senso molto significativa: «La figura della vittima è stigmatizzata dalla passività. Rivoluzionaria è la vittima che invece reagisce e s'organizza collettivamente».

Inevitabile l'interrogativo dell'assenza di uomini in questo processo. La risposta: «In questo primo incontro è importante per noi che le donne presenti siano tutte libere di esprimersi. Ritrovarsi tra sole donne è uno strumento per combattere la paura del giudizio e la vergogna». T tuttavia la necessità di un confronto con gli uomini è ben presente: «Siamo alle prime fasi del piano e vanno costruite dalle donne. Una volta definito, sarà certamente essenziale dialogare anche con gli uomini». Per contrastare la violenza sulle donne occorre, spiegano, lavorare su più fronti e «scardinare tutta una serie di modelli di comportamento. Purtroppo ancora oggi si percepiscono come normali certi comportamenti aggressivi o di prevaricazione e si tende spesso a imputare alla donna la colpa della violenza subita».

Due tavole rotonde con diverse ospiti

Il primo incontro del ciclo - "Violenza domestica. Così ci proteggiamo" - si terrà domenica 20 settembre (entrata dalle 13.45, inizio alle 14) al Liceo cantonale di Bellinzona. Aperto a tutte le donne, l'appuntamento prevede due tavole rotonde con diverse ospiti relatrici. La prima è dedicata alle Case delle donne: l'esperienza ticinese (di cui parlerà Kim Savoy della struttura luganese) verrà messa a confronto con quelle italiana e tedesca, rispettivamente con le ospiti Valentina Mangiò, del centro antiviolenza Lisa di Roma, e Monica Bonetti, psicologa e terapeuta in pensione con esperienze in Germania.

La seconda tavola rotonda, guarderà alla violenza domestica dalla prospettiva delle donne migranti, un punto di vista specifico, tema affrontato con Gabriela Giuria, attivista della Fondazione diritti umani, e Immacolata Iglio Rezzonico, avvocata specializzata in diritto della migrazione. A concludere l'incontro l'intervento di Monica Bisogno, dell'Associazione Dialogos, che introdurrà il tema dei gruppi di auto-aiuto per vittime di violenza sessuale, questione al centro del secondo incontro, in ottobre.