Locarnese

Posta di Orselina, oltre 2'300 firme per salvarla

Syndicom lamenta la 'poca democrazia' di fronte alle petizioni popolari contro il Gigante giallo: 'Rimangono inascoltate. Occorre cambiare la Legge'

14 marzo 2019
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La prospettata chiusura dell’ufficio postale di Orselina ha provocato un moto di protesta impressionante: con la loro petizione al Municipio i gruppi politici attivi in Comune hanno raccolto oltre 2’300 firme, il che significa circa tre volte il numero totale degli abitanti del comune collinare. Una situazione per certi versi paradossale che il sindaco, Luca Pohl, commenta allargando lo sguardo oltre i confini orselinesi: «Circa un terzo dei firmatari della petizione risulta risiedere nella fascia collinare che da Locarno-Monti va fino a Mergoscia, mentre quelle dei restanti due terzi sono firme di persone che abitano nel resto del Locarnese, fuori dalla regione e addirittura fuori dal canton Ticino. Questo “quadro” può indicare due cose: la prima è che rispetto alla politica portata avanti dalla Posta c’è un malcontento diffuso, generalizzato, trasversale. È evidente che i valori in gioco nelle valutazioni sulle chiusure non possono essere soltanto di tipo economico, dimenticando la valenza sociale degli Uffici postali. Il “piccolo” caso di Orselina è servito, a molti, come pretesto per esprimere un dissenso che va oltre quanto accade sulla collina, nel Locarnese o in Ticino. La seconda cosa è che il “peso” di tutte quelle firme grava idealmente sulle spalle dei nostri rappresentanti politici a Berna. Il messaggio di protesta è rivolto in primis a loro, perché se c’è una partita politica da giocare, ciò va fatto oltre Gottardo». Sul caso specifico di Orselina, il sindaco nota che «al di là della famosa lista degli Uffici postali a rischio, noi come Municipio non abbiamo saputo nulla. Auspichiamo che fra fine marzo e inizio aprile sia possibile incontrare i responsabili del Gigante giallo per capire quali sono le loro proposte, e su quella base poter negoziare una soluzione il meno dannosa possibile per tutti. Allora vedremo se ne sortirà qualcosa di accettabile, oppure se ricorrere a PostCom».

‘A parole tutti d’accordo, ma i fatti...’

Ricorsi che stando a Marco Forte, segretario regionale di Syndicom – il sindacato dei media e della comunicazione – «servono a generare una raccomandazione, da parte dell’organo di vigilanza, che spesso conferma la sostenibilità della politica postale da un punto di vista legale. Allo stato attuale ci sono insomma pochi margini e occorre far qualcosa in questo senso. Noi come sindacato il 10 aprile in assemblea voteremo una risoluzione al Consiglio federale affinché imponga alla Posta un cambio di strategia. La speranza è che sotto la responsabilità politica di Simonetta Sommaruga qualcosa possa davvero cambiare». Quanto alle petizioni popolari come quella nata a Orselina, Forte ricorda che «sono indirizzate al Comune, cui si chiede di ricorrere a PostCom in modo da guadagnare qualche mese rispetto ai tempi di chiusura pianificati dalla Posta». Il problema, aggiunge, «è che la Posta, che appartiene ai cittadini, non cambia mai di una virgola la sua posizione perché sostanzialmente non le interessa cosa pensa la gente e vuole solo limitare i costi e aumentare i profitti. È evidente che c’è un problema di democrazia». L’auspicio è che «la voce dei cittadini possa avere più peso, e che a livello federale intervenga un cambiamento della Legge sulla Posta. Le due Camere hanno votato circa la necessità di cambiare l’Ordinanza sulla Posta, poi è stato creato un gruppo di lavoro e sono state introdotte alcune modifiche che a conti fatti non servono a nulla, se non a rafforzare il ruolo delle Agenzie rispetto agli Uffici postali. Infatti il piano Postale di chiudere in Ticino 48 uffici entro il 2020 è rimasto intatto».

Forte ricorda anche la moratoria alla chiusura degli Uffici postali e l’ampio consenso politico federale circa la necessità di un cambio di strategia della Posta, «ma a due anni di distanza le Camere federali non hanno ancora affrontato l’argomento. Insomma, a parole sono tutti d’accordo, ma ancora non ci sono i fatti».