Franco Cavalli e la critica feroce al Lago Maggiore Grand Hotel-Spa & Residences previsto fra Brè e Cardada
«Un progetto inaccettabile, a solo beneficio dei ricconi, che avrebbe un impatto ambientale deleterio e contro il quale è necessario reagire se non lo farà, come è lecito temere, l’autorità politica». Franco Cavalli dice di essere rimasto «esterrefatto» leggendo del progetto di Lago Maggiore Grand Hotel-Spa & Residences, che una holding confederata intende realizzare fra il Monte Brè e Cardada-Colmanicchio. “Non possiamo permetterlo – aveva reagito l’oncologo locarnese su Facebook, suscitando un’ondata trasversale di testimonianze d’appoggio –: i nostri nipoti ci maledirebbero”. Se i politici “non avranno il coraggio di farlo – aveva aggiunto – dovremo organizzare l’opposizione della popolazione. Non diventiamo ancora una volta vittime di una speculazione edilizia assolutamente demenziale”.
Un attacco frontale, di “pancia”, poi tradotto in concreto «con una prima valutazione delle faccenda nell’ambito di un incontro del Forum alternativo – dice Cavalli alla ‘Regione’ –. Ne abbiamo parlato anche con i Verdi, con cui intendiamo collaborare coinvolgendo i “Salvabrè”, il gruppo spontaneo che si è costituito sul posto per difendere il territorio». La presumibile agenda condivisa parla di «manifestazioni, appelli, qualunque cosa concorra a scongiurare lo scempio».
Cavalli guarda al mega progetto locarnese da dietro la lente della storia recente del Canton Ticino: «Siamo specialisti in crimini paesaggistici: parlo della Piana del Vedeggio, del Pian Scairolo, in parte anche del Piano di Magadino, dove si è costruito in modo scriteriato rovinando i luoghi. E non è certamente estranea a questa situazione la crisi del turismo».
Dai Monti di Verscio, dove possiede una baita, Cavalli vede il Monte Brè «e constato, anche frequentandolo da anni, che rimane uno dei luoghi più belli del Ticino anche perché è rimasto sostanzialmente intatto grazie alla sua non facile accessibilità, “protetta”, nel caso della vicina Cardada, dalla provvidenziale esistenza della funivia». Nel caso in cui si decidesse di procedere con l’edificazione di 90 fra residenze e ville esclusive a Brè, e di un albergo “5 stelle superior” con area wellness da 3’000 metri quadri, più ristorante stellato Michelin e campi da tennis a Colmanicchio, «sarebbe necessario procedere innanzitutto con una colata di cemento per consentire ai camion di raggiungere le zone con decine di migliaia di trasporti di materiale; o, in alternativa, bisognerebbe far alzare in volo decine di migliaia di elicotteri, per anni. Un’autentica pazzia, a maggior ragione in un momento in cui il problema climatico è centrale. Non sono certo questi i segnali che bisogna dare». Cavalli conviene che «ogni tanto è necessario scendere a compromessi; ma li possiamo ammettere se si tratta di costruire un ospedale, o qualunque altra cosa che abbia un interesse pubblico. In questo caso il tutto andrebbe esclusivamente a favore dei super ricchi. Sarebbe pertanto non soltanto un crimine ecologico, ma anche un crimine sociale».
C’è, infine, l’aspetto dell’attaccamento emotivo della sua gente al Monte Brè; un attaccamento palesato da alcuni ma sul quale hanno “sorvolato” altri: quelli che hanno venduto le rispettive proprietà di famiglia: «Questo è un punto dolente che abbiamo sempre avuto in Ticino, dove la svendita del territorio è stata piuttosto vergognosa. Posso accettare un simile approccio in tempi particolarmente difficili come quelli che hanno seguito la fine della Seconda guerra mondiale; ma a Brè, oggi, la situazione è profondamente diversa: chi detiene o deteneva terreni, magari da generazioni, non si trova certo nella stretta necessità di liberarsene». Del resto, conclude Cavalli, «il Ticino da quando è diventato Cantone ha sempre avuto la mentalità di svendere per sopravvivere: prima abbiamo venduto i soldati a Napoleone, poi i nostri emigranti, poi le nostre acque e ancora oggi il nostro territorio. È il guadagno facile, vendendo; o il vivacchiare, svendendo. Questo non ci fa onore».