L’esperto Thomas Stucki: ‘Quasi la metà degli incidenti mortali avviene con un grado di pericolo 3’. Formazione ed esperienza possono anche non bastare
A volte la formazione, la preparazione e l’esperienza non bastano per evitare di rimanere sepolti sotto una valanga. Ed è purtroppo proprio quello che è accaduto domenica scorsa, 11 dicembre, sopra San Bernardino: uno sciescursionista 56enne svizzero esperto di montagna ha perso la vita dopo essere stato travolto dalla massa di neve che si è staccata sotto i suoi piedi. Ricordiamo che nell’incidente è stato coinvolto anche il figlio che è però riuscito a liberarsi. La famiglia (il gruppo era formato anche dalla madre e da un altro figlio) era diretta sul Pass dei Omenit, in una giornata in cui il pericolo valanghe era di livello 3 su 5, ovvero "marcato". Una situazione in cui «la valutazione sul posto è difficile», afferma a ‘laRegione’ Thomas Stucki, responsabile del servizio ‘previsioni valanghe’ dell’Istituto per lo studio della neve e delle valanghe (Slf) di Davos, aggiungendo che «quasi la metà degli incidenti mortali in Svizzera avviene con questo grado di pericolosità».
Concretamente, in quali condizioni si trova attualmente il manto nevoso? «Prima delle precipitazioni dello scorso fine settimana, sui pendii era presente solo poca neve», spiega Stucki. «Neve che in questi casi cambia struttura: da fresca è diventata instabile con una consistenza simile alla sabbia o allo zucchero. L’ulteriore neve fresca dell’ultimo weekend, così come quella portata dal vento, si è quindi appoggiata su quella vecchia, generando un pericolo marcato di valanghe». E il livello 3 di pericolosità è quello «in cui avvengono più spesso incidenti». Incidenti che «nel 90% dei casi sono provocati dagli stessi sciescursionisti» che con il loro peso causano il distaccamento della valanga.
Si tratta di condizioni che non per forza si presentano ogni volta a inizio della stagione invernale: la pericolosità, prosegue l’esperto, «dipende da quanto è consistente la prima nevicata. Quest’anno ha nevicato poco e in questi casi la neve forma uno strato debole che può abbastanza facilmente cedere. Nel caso in cui, invece, le prime precipitazioni nevose raggiungano o superassero il metro, allora questa trasformazione avverrebbe più difficilmente o affatto. In questi casi lo strato inferiore si assesta, diventando più stabile».
Insomma, con un grado di pericolo di livello 3, la situazione valanghiva viene definita "critica" (dal sito dell’Slf). Una situazione che oltretutto non è rara, visto che è attuale per circa un terzo dell’inverno. Se proprio però si vuole lo stesso andare a fare un’escursione, bisogna innanzitutto essere «consapevoli del rischio, ma anche avere una formazione adeguata e parecchia esperienza», sottolinea Stucki. «Bisogna ad esempio essere capaci di leggere la pendenza di un pendio e individuare i luoghi più pericolosi: i pendii rivolti a nord con molta ombra e le pendenze superiori ai 30 gradi possono essere molto pericolosi». Tuttavia, anche per persone esperte e preparate non risulta facile individuare le zone più pericolose: «È difficile, visto che gli strati di neve deboli non sono individuabili a occhio nudo». A livello di prevenzione, oltre alla scelta oculata dell’itinerario, vi sono anche misure volte a minimizzare i rischi, come «mantenere una certa distanza tra le persone del gruppo», evitando così che, in caso di valanga, vengano travolti tutti.