Per Giovanni Antognini, direttore del Parco del Piano di Magadino e viticoltore, ‘la tendenza è di affidarsi ad alternative il più possibile sostenibili’
Varietà resistenti alle malattie così da non dover utilizzare o addirittura eliminare l’utilizzo di prodotti fitosanitari. «La ricerca, in particolare in Ticino, sta seguendo anche questa direzione», afferma a ‘laRegione’ Giovanni Antognini, direttore del Parco del Piano di Magadino – ente che, fra l’altro, promuove la biodiversità e contemporaneamente sostiene anche l’attività agricola –, nonché viticoltore. «La tendenza degli ultimi decenni è quella di affidarsi ad alternative il più possibile sostenibili, visto che tutti vogliono offrire prodotti sani. Fra i produttori e a livello cantonale con il progetto ViSo Ticino [che mira a migliorare le pratiche viticole promuovendo la biodiversità, ndr] si nota una sensibilità sempre più accresciuta su questa tematica».
Tematica, quella dell’utilizzo di prodotti fitosanitari nell’agricoltura, che torna regolarmente alla ribalta. Il caso più recente che riguarda la nostra regione è quello di Gudo, dove a novembre nella falda da cui attinge il pozzo di captazione è stata riscontrata una presenza leggermente oltre il limite di Clorotalonil, un fungicida (utilizzato in particolare per trattare cereali, ortaggi e vigna) vietato nella Confederazione da inizio 2020, perché ritenuto pericoloso per la salute. Al momento l’acqua consumata dagli abitanti del quartiere di Bellinzona è quella proveniente dall’acquedotto del Comune di Cugnasco-Gerra con il quale è stato attivato un collegamento d’emergenza. Ricordiamo che sono in corso verifiche per chiarire le cause di questa contaminazione, così da permettere poi di rimettere in funzione il pozzo.
Insomma, in sostanza, l’utilizzo di prodotti fitosanitari può portare a diversi problemi non di poco conto, in particolare per la salute. Prodotti che d’altro canto sono spesso ancora necessari per gli agricoltori per poter letteralmente raccogliere i frutti di quanto seminato. Un equilibrio spesso fragile, non sempre facile da gestire. Ma dove sta il limite? «Innanzitutto – premette Antognini –, gli agricoltori devono evidentemente rispettare la legge: ogni anno ricevono delle liste che mostrano quali prodotti sono autorizzati e quali proibiti. I controlli vengono poi svolti dagli enti (anche cantonali) preposti». In ogni caso «si nota una sensibilità sempre maggiore a questa tematica che induce a trattare sempre meno le colture, così da ridurre in modo importante la quantità di sostanze attive poi presenti sul prodotto finale». Inoltre, «oggigiorno i trattamenti vengono eseguiti con diffusori sempre più performanti e precisi, così da disperdere il meno possibile i prodotti fitosanitari nell’ambiente». A questo proposito ricordiamo che pure le nuove tecnologie come i droni possono rappresentare una soluzione valida: come avevamo riferito alcuni mesi fa su queste colonne, sono a disposizione velivoli che espellono l’esatta quantità di prodotto definita, in modo omogeneo su tutte le piante, tenendo anche in considerazione le condizioni atmosferiche.
In questo contesto ad aiutare è poi «la ricerca scientifica che permette di individuare varietà più resistenti alle condizioni climatiche e ambientali avverse», sottolinea Antognini. Una ricerca che viene applicata a tutte le colture, ma che in Ticino è di particolare interesse per il settore viticolo. «Il clima rappresenta un problema e di conseguenza coltivare vitigni classici (come il Merlot) completamente biologici è molto difficile: il rischio è che il raccolto sia insufficiente o addirittura inesistente». Si guarda quindi con interesse alle varietà resistenti: «Stanno emergendo risultati promettenti in particolare per quanto riguarda i vitigni bianchi, mentre per quelli rossi sono ancora poco soddisfacenti. Un esempio di vitigno rosso che sta però suscitando interesse è il Divico che è resistente alle malattie fungine; credo rimarrà però una produzione di nicchia e non può venire considerata un’alternativa seria al Merlot». Insomma, queste varietà permettono di ridurre massicciamente l’impiego di prodotti fitosanitari e contribuiscono così a sviluppare una viticoltura più ecologica. Un altro problema è però rappresentato dalle abitudini della popolazione: «I consumatori sono di fatto abitudinari: apprezzano e preferiscono le varietà più conosciute, quelle classiche conosciute a livello internazionale», rileva Antognini. «A livello commerciale è quindi rischioso produrre un vino poco richiesto». Un discorso che vale ad esempio anche per la Bondola, un vitigno autoctono che nello scorso secolo è stato relegato in secondo piano proprio dal Merlot. Infatti, stando ai pochi produttori, la Bondola resiste alle malattie e sopravvive malgrado il clima stia cambiando. Tuttavia, questo vino fa ancora fatica a imporsi nel mercato.
In generale vi sono poi anche altre alternative che permettono di coltivare prodotti in modo più ecosostenibile: «Ad esempio la coltivazione cosiddetta ‘hors-sol’ (non direttamente nel terreno) è rispettosa dell’ambiente, perché, essendo a circolo chiuso, non va a condizionare il suolo», precisa Antognini. D’altro canto, se invece «il terreno viene lavorato in certo modo lo si può rendere più fertile. E a medio-lungo termine questo permette di utilizzare meno prodotti fitosanitari».