È comparso in aula questa mattina il 39enne accusato di aver buttato la moglie dal balcone di una palazzina di via San Gottardo a Bellinzona
Quanto accaduto a Bellinzona la sera del 3 luglio 2017 aveva gelato la calda estate ticinese: una donna di 24 anni muore sull’asfalto del piazzale di una palazzina di via San Gottardo dopo essere precipitata per 20 metri dal terrazzo dell’appartamento situato al quinto piano. A più di tre anni da quella tragica sera, è comparso in aula questa mattina il marito 39enne accusato di assassinio consumato e tentato, in via subordinata omicidio intenzionale consumato e tentato, o in via ancora più subordinata lesioni semplici, esposizione a pericolo della vita altrui, minaccia e coazione. Alla Corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Marco Villa il compito di stabilire se la moglie sia stata spinta dal marito oppure se abbia compiuto il gesto estremo. Il 38enne si è sempre professato innocente: nega di averla buttata dal balcone, sostenendo che sia stata lei a gettarsi e chi lui abbia tentato di dissuaderla e poi di trattenerla afferrandola per un braccio quando si trovava a cavalcioni sul davanzale. Questa la tesi difensiva, mai modificata.
Il 38enne, che vanta una carriera militare nel suo paese d’origine, avendo ottenuto lo statuto di rifugiato politico si trovava in Ticino da tempo con permesso di dimora B. La moglie e i loro due figlioletti avevano quindi potuto raggiungerlo a Bellinzona nel 2014 grazie alla procedura di ricongiungimento familiare da lui avviata. Ma qualcosa a un certo punto si è rotto. Da tre mesi le liti fra i due erano frequenti. Scatenate, come emerso nel corso dell’inchiesta, dalla gelosia del 38enne sospettando che lei avesse una relazione extraconiugale. Anche la sera del decesso la discussione scoppiata fra i due riguardava quel tema.
Secondo l’atto d’accusa stilato dal procuratore pubblico Moreno Capella, la sera del decesso sarebbe avvenuto l'ennesimo litigio in merito alla questione dell’esistenza di una relazione sentimentale e sessuale della moglie con un altro uomo. Durante la discussione, dopo aver ricevuto per l’ennesima volta una risposta negativa sul presunto tradimento, l’uomo avrebbe perso la testa, iniziando a colpirla con sberle e schiaffi al viso. L’avrebbe poi afferrata al collo, tanto forte da provocarle la rottura dell’osso ioide, continuando a minacciarla, brandendo anche un coltello, al fine di estorcerle la confessione. L'ha poi seguita sul balcone dove l'ha spinta oltre il parapetto. La Corte dovrà chiarire se la moglie si trovasse già a cavalcioni sul parapetto del balcone. Per il pp Capella, l'uomo ha agito "con particolare assenza di scrupoli, segnatamente con scopo e movente particolarmente perversi", considerando anche la convinzione "errata" dell'esistenza di una relazione sentimentale.
Tre, dall’estate 2019 a oggi, i passi intrapresi dal pp: come richiesto dal Tribunale penale ha precisato movente e scopo che sorreggono l’imputazione principale dell'assassinio (la gelosia e lo scatto d’ira, sebbene non vi siano elementi che provino il tradimento avendolo la vittima sempre negato). Secondo, ha ottenuto dall’Istituto di medicina legale dell’Università di Berna, cui aveva ordinato la ricostruzione della traiettoria del corpo in aria, il completamento di alcune parti della perizia le cui conclusioni ritengono verosimile la tesi dell’uccisione. A questo riguardo i giudici chiedevano ai periti bernesi di dire se la vittima sia stata sollevata, buttata e/o lanciata, ma nel complemento viene evidenziata l’assenza di elementi sufficienti a rispondere positivamente alle domande; troppe le variabili in gioco, fra cui anche il risultato sempre differente dei quattro lanci simulati con un manichino, che in un’unica occasione ha impattato nel punto presumibile del decesso.
Infine, terzo punto, la perizia di parte che l’avvocato difensore Manuela Fertile ha chiesto nei mesi scorsi all’Istituto di scienze forensi di Milano (perizia voluta e finanziata, tramite una colletta, dai familiari dell’imputato e da parte della comunità eritrea presente in Ticino): gli esperti lombardi ritengono che il punto d’impatto al suolo in posizione prona, comparato a quello di distacco dal terrazzo, nonché i segni e le ferite riscontrati su alcune parti della salma, inducono a ritenere che la vittima si sia lanciata spontaneamente; perciò la versione del marito è ritenuta credibile. Letta questa perizia, gli esperti bernesi non si sono scostati dalle loro conclusioni ritenendo poco verosimile l’ipotesi del suicidio. L’intero scambio di opinioni sull’asse Milano-Berna, insieme al nuovo atto d’accusa completato, si trova ora in tribunale. Si attende l’aggiornamento del processo, fortemente indiziario.