All'istituto di Bellinzona tre ospiti sono deceduti e 11 sono malati; positivi anche venti operatori
Sono giorni molto difficili anche per le strutture che si occupano di persone che vivono in condizioni di disagio mentale, psichico, fisico o multiplo e che richiedono ospitalità e occupazione. Come succede nelle case per anziani, anche qui gli ospiti vengono attualmente gestiti cercando di rispettare i loro bisogni di socializzazione, ma con modalità ridotte al minimo indispensabile - o azzerate in caso di contagio da Covid-19 - mantenendo nel limite del possibile la distanza sociale e mirando a un elevato livello d'igiene. “Si può dire che i nostri ospiti vivano praticamente in isolamento nelle loro camere singole”, spiega alla ‘Regione’ Damiano Stefani, presidente della Fondazione Madonna di Re che gestisce tre centri diurni e residenze protette a Bellinzona, Claro e Piotta. La ‘Regione’ lo ha interpellato non potendo il direttore rispondere alle domande: “Nelle settimane passate si è adoperato in ogni modo per gestire al meglio la delicata situazione - spiega Stefani - e ora si sta riprendendo dal contagio. Faccio a lui, come pure ai nostri utenti e ai collaboratori ammalatisi, gli auguri di una pronta guarigione”.
Il bollettino segnala purtroppo nella struttura bellinzonese tre decessi fra i 24 utenti interni che vi soggiornano; a questi solitamente si aggiungo 19 esterni, che però in questo periodo devono trascorrere le loro giornate al domicilio anziché recarsi al centro diurno che è stato momentaneamente chiuso; 11 complessivamente i casi risultati positivi al Coronavirus, di cui uno attualmente ospedalizzato. Dei 60 collaboratori, una ventina si sono ammalati e proprio in questi giorni si registrano i primi rientri in servizio dopo l'assenza forzata. Essendo chiuso il centro diurno, l’équipe che solitamente vi lavora viene impiegata nel foyer, con il supporto straordinario di due militi sanitari, tre infermiere volontarie e cinque educatori supplenti messi a disposizione da altre strutture socio-educative nel frattempo chiuse. Zero contagi invece nelle altre due sedi: a Claro si contano 34 utenti (di cui 20 interni, uno notturno e 13 esterni) con circa 50 collaboratori e un civilista; a Piotta gli utenti sono 24 (venti interni e quattro esterni) e i collaboratori una quarantina.
“Non sappiamo - spiega il presidente della Fondazione - quale sia stato l’origine dell’ampio contagio verificatosi nel nostro centro di Bellinzona sin nelle prime fasi della pandemia”. In quel periodo - siamo nella prima metà di marzo - in Ticino si accennava soltanto alla necessità di ridurre le visite esterne o di non consentirle del tutto. Provvedimenti poi introdotti non appena è scattato il regime pandemico. “Non da ultimo va sottolineato che fra i nostri ospiti in tempi normali c’è una promiscuità che segue le consuete attività diurne. Va inoltre detto che gli ospiti richiedono molto contatto umano e gesti d’affetto, un aspetto importante per la loro salute psicologica e che in questo periodo comporta una maggiore difficoltà nel gestire anche le cose più semplici”.
Quel che è certo - aggiunge Damiano Stefani - è che in pochi giorni il virus ha purtroppo colpito diversi ospiti e operatori: “È stato uno tsunami che ha richiesto da parte di tutti un importante sforzo di gestione della crisi”. Tra le misure adottate vi è stato l’isolamento di ciascuna struttura, “ciò che ha permesso a quelle di Claro e Piotta di non registrare finora casi positivi”. Per isolamento s’intende che gli utenti diurni, come detto, devono restare a casa loro e che quelli interni sono confinati nelle rispettive camere singole, con poche possibilità di correlarsi con gli altri a distanza, o zero possibilità in caso di malattia. Quanto al materiale di protezione, è stata sollecitata positivamente dalla Fondazione la messa a disposizione di mascherine, guanti e camici; già presente invece l’apparecchiatura per l’ossigeno.
Positivo - annota Stefani - l’approccio con gli enti preposti a collaborare per la messa a disposizione di forze umane laddove vi sia del personale costretto a letto o in autoquarantena: “L’Ente ospedaliero cantonale ha garantito un rinforzo con infermiere e infermieri volontari o provenienti da studi medici che in questo periodo hanno ridotto e fermato l’attività”. Personale è stato ‘dirottato’ anche da altre infrastrutture assistenziali e sociali nel frattempo pure chiuse; a loro volta Protezione civile ed Esercito sono in costante contatto per rispondere a eventuali esigenze. Un aiuto arriva infine da studenti universitari che seguono la formazione di educatori specializzati.