Parla la moglie di Marco Meroni di Biasca, operaio vittima dell'amianto respirato quando lavorava alle carrozze nello stabilimento di Bellinzona
«Non è vero che non è morto nessuno e queste parole mi feriscono». Donata Meroni di Biasca vuole dire la sua riguardo a quanto affermato dalla Suva che sostiene che non si registrano casi di decesso a causa del cancro polmonare associato all’amianto presente nel materiale rotabile a cui avevano lavorato in passato alcuni operai delle Officine Ffs di Bellinzona.
«Mio marito è morto il 26 giugno scorso di mesotelioma, un cancro alla pleura, dovuto all’amianto e la Suva ha riconosciuto la malattia professionale». Sono parole pronunciate con dolore e rabbia dalla moglie di Marco Meroni di Biasca, uno degli operai delle Officine che era stato esposto all’amianto e noto anche per avere gestito per anni l’Azienda vitivinicola Fratelli Meroni assieme al gemello Vincenzo.
«Prova ne è il fatto che io ora percepisco la rendita che la Suva mi ha concesso», ha aggiunto. «Purtroppo ora la Suva sta mettendo la testa sotto la sabbia e io voglio combattere, perché con gli appositi esami gli operai che sono stati esposti all’amianto possono ancora salvarsi».
Donata racconta le difficoltà vissute accanto al marito che ha combattuto contro la malattia per due anni e mezzo. Una malattia scoperta nel gennaio 2017, quando appunto gli è stato diagnosticato il cancro alla pleura. «Lui aveva 61 anni, una famiglia con due figli e molta voglia di vivere. Insieme avevamo tanti progetti, anche per l’azienda di vini in cui lavorava con passione e a cui voleva dedicarsi anche in futuro».
«Mio marito non fumava nemmeno, l’unica causa è proprio l’esposizione al minerale sul posto di lavoro. Ricordo che da quando aveva iniziato a lavorare alla manutenzione delle carrozze mi diceva: ‘Io morirò di questo’, perché respirava sostanze dannose e non c’erano protezioni. Ed erano al minimo quaranta persone che facevano questo tipo di lavoro».
La nostra interlocutrice ci dice di essere certa che suo marito non sia stato l’unico a morire a causa dell’amianto. «Una mia coetanea di Biasca ha perso il marito dieci anni fa per lo stesso tumore contratto da mio marito e pure il suo aveva lavorato alle Officine a contatto con l’amianto».
Donata vuole ricordare una frase che le ha detto suo marito prima di morire : “Non mollare, fai tutto quello che puoi fare per aiutare chi può essere ancora aiutato”. Per questo lei combatte affinché chi è ritenuto a rischio esegua i controlli per diagnosticare la malattia.
Donata Meroni si sente ferita anche da un altro aspetto. «Si tratta di una questione economica che ritengo ingiusta. Visto che è stata riconosciuta la malattia professionale è stata bloccata la cassa pensione di mio marito», spiega. Ci dice che il marito Marco ha pagato quarant’anni di cassa pensione, fino al gennaio 2019 «e ora non vediamo un centesimo di tutto quello che ha pagato e sono quasi 800mila franchi. Sono cose che fanno male».