La nuova stazione di fecondazione punta a ottenere una selezione più rustica. 'Apicoltura più naturale per migliorare la difesa dalle malattie'
Grazie al lavoro di impollinazione aiutano a mantenere la biodiversità e la conservazione della natura, garantendo la presenza di specie vegetali diverse fra loro. Un prezioso contributo che questi piccoli insetti portano all’intera umanità. Eleganti, affascinanti e indispensabili
api, senza le quali il mondo finirebbe in quattro anni. Lo disse Albert Einstein, che trovò in seguito le solite conferme. L’ultima del Center for Biological Diversity dell’Arizona che nel 2017, al termine di uno studio, ha tratto la stessa conclusione del grande fisico e scienziato. Tra i soggetti più studiati in tutto il mondo, l’ape è costantemente sotto la lente anche dei numerosi apicoltori ticinesi.
Tra questi c’è Reto Mordasini che occupa il tempo libero nei suoi apiari in Val Onsernone. Da una sua idea, grazie al supporto della Sezione apicoltura Tre Valli, è recentemente nata una nuova stazione di fecondazione di api regine in Val Pontirone. Un progetto che presenta due obiettivi precisi: quello classico di fecondare le api regine in un territorio isolato con dei fuchi selezionati (ambientati nella regione), e quello più singolare volto a una maggiore attenzione a valorizzare le caratteristiche di tolleranza verso le malattie.
«Queste vengono causate soprattutto dalla varroa destructor: un acaro proveniente dalla Cina installatosi in Ticino circa 25 anni fa – spiega Reto Mordasini –. Il parassita inietta il virus nelle larve, nutrendosi della emolinfa delle api». Lo scopo del gruppo di lavoro è «lasciare riprodurre la varroa nella cella dell’alveare, cercando di individuare alcune api particolarmente sensibili. Le larve che vengono infestate dalla varroa emettono un segnale. A questo punto le api nutrici aprono le celle e cercano di togliere l’acaro. Se questo non è possibile, uccidono la larva. Posso dire che non siamo lontani dal realizzare questo obiettivo molto ambizioso».
Uno sforzo che a lungo termine permetterà di ottenere una selezione genetica d’api locale con una maggiore rusticità e una migliore attitudine difensiva. «Se l’apicoltore non fosse intervenuto con i trattamenti ci sarebbe stata una selezione naturale – spiega Mordasini –. Le api avrebbero potuto sviluppare degli alleli che avrebbero permesso loro di sopportare determinate patologie. Ma l’uomo ha invece agito con la chimica, indebolendo il fragile sistema immunitario dell’ape. Oggigiorno tutti mettono fogli cerei nell’arnia o nutrono con sciroppo. Tutti aspetti che l’insetto non trova in natura. Non bisognerebbe introdurre nulla nell’arnia, ma lasciare che siano le api ad agire».
Il processo di fecondazione dell’ape regina nella nuova stazione è avvenuto nei mesi di giugno e luglio. «La regina nasce dopo 16-17 giorni. In seguito fa un volo di fecondazione in cui si accoppia (solitamente a 15-30 metri dal suolo, ndr) con più fuchi con differenze genetiche. Può anche accoppiarsi con un numero massimo di venti fecondatori. La regina torna poi all’alveare e non si accoppierà mai più per tutta la vita, che in media dura fra i quattro e i cinque anni».
Il gruppo di lavoro della nuova stazione di fecondazione è composto da sette persone: Reto Mordasini, Erminio Chiesa, Mauro Merzaghi, Giovanni Randelli, Gian Luca Maffioli, Jonny Brazzola ed Erik Ogelli. «Alcuni sono affiliati alla Sezione apicoltura Tre Valli, mentre altri giungono da varie zone del Ticino. Questo per coinvolgere opinioni in maniera costruttiva».