Quasi come in un film di Sergio Leone. Un presidente, le opposizioni, primi ministri destinati a soccombere, finora. Vedremo con l’intrallazzone Bayrou
Lo stallo alla messicana lo conosciamo tutti, da “Il buono, il brutto, il cattivo” in poi. Tre uomini armati che si tengono reciprocamente sotto tiro e che quindi, teoricamente, potrebbero rimanere bloccati così all’infinito.
Da quest’anno c’è lo stallo alla francese: una variante politica in cui due dei tre protagonisti continuano a guardarsi in cagnesco e puntarsi la pistola contro, mentre il terzo viene regolarmente impallinato e poi sostituito (a una velocità che si fa quasi fatica a ricordarsi i nomi) per fare la stessa fine del predecessore. In un anno, la Francia ha avuto quattro primi ministri: Élisabeth Borne, silurata a gennaio dopo un anno e mezzo di non proprio onorato servizio; Gabriel Attal, rimasto ben (si fa per dire) sette mesi in carica forse solo in virtù della tregua olimpica che la politica si è data per non intralciare i Giochi di Parigi; Michel Barnier, durato poco più di Papa Luciani (unità di misura della fugacità del potere transitorio), e – da qualche giorno – il 73enne François Bayrou, navigato centrista ben oltre l’età pensionabile: soglia che, soprattutto in politica, pare invalicabile. Impossibile staccare alcuni dalle loro poltrone a tal punto da far venire il dubbio che – come i faraoni venivano seppelliti insieme ai loro fedeli animali e servitori – prima o poi assisteremo a sepolture in bare cubiche, per lasciare i potenti per sempre sul loro scranno.
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François Bayrou
Bayrou è un vecchio intrallazzone della politica rimasto al centro perché da lì fa meno fatica a dondolare a destra e a sinistra, a seconda delle occorrenze. In francese, quelli così, che galleggiano sempre a dispetto di tutto, li chiamano démerdard, e basta guardare le lettere che compongono la parola per farsi un’idea, senza bisogno di traduzione.
Amico di Macron, della sinistra e perfino di Le Pen (insomma, di tutti e quindi solo di sé stesso), Bayrou deve riuscire nel miracolo di sbloccare lo stallo alla francese, rimanendo politicamente in vita e salvando la poltrona presidenziale di Macron, la cui popolarità è ai minimi. Magari ha ragione lui e Bayrou sarà la scelta giusta per arrivare indenne, al 2027, e cioè a fine mandato. Ma non si spiega – se non con un misto di arroganza e miopia – come mai, dopo due tornate elettorali favorevoli alle estremità dell’arco politico e con un Paese socialmente in fiamme, Macron non abbia nominato un primo ministro vicino alla sinistra, che ha la maggioranza relativa nell’Assemblea nazionale.
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Lo stallo alla messicana in ‘Il buono, il brutto, il cattivo’
Questo andare con il paraocchi, cercando di normalizzare le tensioni semplicemente ignorandole, è pericoloso: due politici in qualche modo assimilabili a Macron, Renzi in Italia e Cameron nel Regno Unito, si sono schiantati tirando dritti (il primo sul referendum costituzionale, il secondo sulla Brexit) infischiandosene di dove tirasse il vento. La rielezione di Ursula von der Leyen a capo della Commissione europea segue lo stesso canovaccio: aveva i numeri, non più lo slancio. Eppure non si è fatta da parte, spostando equilibri, umori e voti sempre più a destra (lo abbiamo appena visto in Austria e Romania). Li chiamano centristi, moderati, responsabili, ma per un minuto in più al potere oggi consegnano il domani in mano ai peggiori: da una parte sovranisti e razzisti beceri, dall’altra le due sinistre in voga oggi, quella rivoluzionaria rimasta ancorata a inapplicabili schemi novecenteschi, e quella confusionaria ed egoriferita, paladina dei diritti civili, indifferente a quelli sociali. Gente a cui più della poltrona interessa uno specchio in cui rimirarsi.