La Corte dell’Aia mette di nuovo in gioco la sua credibilità, perché il diritto umanitario non può scendere a compromessi
“La notte di Israele”. È il titolo, senza equivoci, del più recente numero di Limes, la nota e generalmente apprezzata rivista di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo. Il cui editoriale di apertura ha questo incipit di sicuro effetto: “Israele sta combattendo con successo la sua guerra di autodistruzione”, affermazione legata alle parole del generale Udi Dekel a un anno dalla terroristica mattanza del ‘7 ottobre’ a opera di Hamas: “È evidente che la leadership israeliana vede all’orizzonte solo la guerra perpetua. Il conflitto in corso beneficia solo i nemici di Israele”.
Il seguito ci dirà se si tratti davvero di profezie realizzabili. E se realmente Israele non sarà più Israele. Intanto si registra oggi, solo in parte a sorpresa, un evento che mette ancor più lo Stato ebraico in una posizione quantomeno imbarazzante: il mandato di arresto per il premier Benjamin Netanyahu e per il suo ex ministro della Difesa Yoaf Gallant (associati ad Al-Masri, alias ‘Deif’, uno dei leader di Hamas, in realtà dato per morto, come il vero capo Sinwar). L’accusa ai due israeliani: aver impedito consapevolmente l’aiuto umanitario agli oltre due milioni di civili palestinesi nella Striscia di Gaza, investita dalla pesantissima rappresaglia (finora oltre 45mila morti secondo i bollettini di Hamas); e di aver usato i civili come scudi umani (accusa rivolta al leader di Hamas).
Per Israele, una ingiustificata e vergognosa iniziativa della Corte, “impregnata di antisemitismo”, che così nega il diritto alla difesa dello Stato ebraico. Sta di fatto che alle 124 nazioni che riconoscono l’autorità della Cpi (Svizzera compresa) viene chiesto di ammanettare ed estradare all’Aia i tre leader politici qualora soggiornassero sul loro territorio. Difficile che avvenga, come dimostrano i mandati di arresto emessi per il siriano Assad (che raramente lascia Damasco) e più recentemente per Putin (che invece si concede viaggi in capitali lontane, anche aderenti alla Cpi, ma compiacenti, in nome di presunti vantaggi per favorire la pace in Ucraina. In realtà, mai registrati).
Sarà così anche per Netanyahu e Gallant? Non è detto: sia perché le tragiche conseguenze della ‘punizione collettiva’ di Israele su Gaza (e ora anche su una parte del Libano) stanno suscitando accese proteste un po’ ovunque nel mondo; sia perché Israele conosce un isolamento internazionale senza precedenti; infine perché la leadership putiniana ha un peso politico che non ha certo la leadership israeliana. Lo conferma il fatto che l’Olanda, recente teatro di quella che molti hanno definito ‘una caccia all’ebreo’ contro i tifosi del Maccabi, condannata dal governo di Amsterdam come atti di antisemitismo, ha subito aderito alla raccomandazione della Corte Penale. La “vendetta” (con questa parola la volle definire lo stesso Netanyahu) non poteva continuare “senza limiti”, con le sue orrende conseguenze e impunità.
La Corte dell’Aia mette di nuovo in gioco la sua credibilità, perché il diritto umanitario non può scendere a compromessi. Giustificato e pesante monito. Comunque eticamente dovuto.