A Sturgeon Bay, capoluogo della contea che dal 1996 vota sempre chi poi vince le elezioni. Una comunità coesa che si sta sfaldando a causa della politica
La porta della Casa Bianca non è mai stata così stretta. Stretta come questa penisola che si stiracchia dall’estremità orientale del Wisconsin fin dentro al lago Michigan. Si chiama Door County e porta con sé uno strano record: dal 1996 vota sempre per il candidato che poi diventa presidente. Dalla vittoria di Ronald Reagan nel 1980 fino all’elezione di Joe Biden, quattro anni fa, gli abitanti della contea con doti divinatorie si sono sbagliati solo una volta, nel 1992, quando votarono George H. Bush e si ritrovarono Bill Clinton come presidente.
Anche per questo che oggi il Wisconsin (con i suoi 10 delegati teoricamente decisivi) è sotto i riflettori – considerato lo Stato più in bilico tra i sette “Swing States” che determineranno la contesa elettorale (gli altri sono Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina e Pennsylvania) –, tutti gli sguardi sono rivolti lassù, alla Door County: piccolo, freddo e pacifico angolo d’America che con i suoi appena 30mila abitanti riesce a rappresentare perfettamente il sentire comune di un Paese sterminato con oltre 150 milioni di elettori che vanno dall’Alaska alle Hawaii.
R. Scarcella
Il giornale locale racconta la visita di ‘60 Minutes’
Si è scomodata perfino ‘60 Minutes’, la storica trasmissione della Cbs che ha provato a restringere ulteriormente il campo battendo la Door County in lungo e in largo in cerca di almeno un elettore capace di dondolare così bene tra repubblicani e democratici da aver scelto a ogni elezione il futuro inquilino della Casa Bianca. Missione fallita, seppur di poco: un dipendente del ristorante Door County Fire Co. di Sturgeon Bay aveva inanellato un percorso netto fino al 2016 per poi votare Trump invece di Biden nel 2020.
L’ultima elezione resta anche quella con il minimo margine di scarto tra i due candidati, appena 292 voti. Molti sono pronti a scommettere che questa volta la distanza si possa assottigliare ancora con spiacevoli effetti per tutti, simbolicamente rappresentati da due grandi ville che si guardano in cagnesco a pochi metri dal cartello che indica l’arrivo a Sturgeon Bay: una ha due enormi statue di “bald eagle” (l’aquila simbolo degli Stati Uniti) all’ingresso e anche un pupazzo di Trump a dimensione naturale, oltre a una miriade di cartelli che invitano a votare repubblicano. Nel giardino accanto è tutto un fiorire di scritte pro-Harris, tra cui spicca un “Vota democratico. Loro votano per te”.
R. Scarcella
‘Rilassati, sei nella Door County’
Tra le due abitazioni c’è una staccionata, una delle poche, se non l’unica in un paesino di 9mila abitanti in cui tutti si conoscono e il livello di criminalità è prossimo allo zero. Perfino il tasso di disoccupazione è tra i più bassi del Paese: la media nazionale è 4,1%, quella del Wisconsin 2,7%, nella Door County è dell’1,9%. “E se perdi un portafoglio, stai tranquillo che lo ritrovi con tutto dentro. Mi è successo una settimana fa”, dice Leah mentre mi dà il benvenuto al White Lacey Inn, un’antica casa vittoriana riadattata a Bed&Breakfast dove si fa ancora colazione con torte della nonna in vecchi piatti di porcellana e dove ti dicono: “Se ti senti più sicuro, la notte chiudi la porta. Ma non ce n’è bisogno”. Perfino le password del Wifi sono quelle basiche, come “123” o giù di lì.
Arrivare a Sturgeon Bay da Milwaukee è un concentrato di Wisconsin: prima la città che si allontana alle tue spalle, poi i sobborghi dei ricchi seguiti da un gelido e brullo nulla fino al grande stadio dei Green Bay Packers, orgoglio locale, unica squadra di una piccola città a giocare (e vincere quattro Superbowl) in Nfl. Seguono fari, enormi granai bianchi e rossi e città dai nomi bislacchi, come Frog Station, o europei, come Brussels, Luxemburg e Namur. È quella toponomastica nostalgica figlia di una disperazione da migranti ormai diluita in generazioni nel frattempo accolte, accettate, integrate; di gente che arrivava dal Nord Europa in cerca di fortuna e di un luogo che potesse sembrare loro familiare: ricordare casa senza esserlo e infine diventarlo. Basta vedere i cognomi delle attività che scorrono lungo la strada: Havegard, Van Den Heuwel, Dineen.
R. Scarcella
Cartello pro Trump nel viale centrale di Sturgeon Bay
Questa America, per il 96 per cento bianca, corrisponde perfettamente all’elettorato conservatore: eppure così non è. La Door County, come e più del Minnesota è considerata “viola”, né rossa (il colore dei repubblicani), né blu (quello dei democratici). Ora, fuori, tutti attendono di vedere che tonalità prenderà quel viola il 5 novembre.
Alcuni abitanti sono però preoccupati della polarizzazione eccessiva. Lo spiega bene la giornalista locale Debra Fitzgerald, incentrando il discorso sul rischio di perdere un pezzo di anima, ovvero il ‘Midwest Nice’, la proverbiale affabilità di chi abita queste terre: “La migliore storia sulle origini del ‘Midwest Nice’ l’ho sentita in Minnesota. Dice che quando arrivarono i coloni, il clima rigido, il numero ridotto di persone, gli ampi spazi aperti e le minacce dei nativi americani costrinsero la gente a unirsi. Dovevano andare d’accordo con i loro vicini perché da questo dipendeva la loro sopravvivenza. Ho vissuto tempi in cui tutto ciò suonava ancora vero. Quando le temperature scendevano fino a -40 in inverno a seguito di violente tempeste di neve, non c’era niente come sentire il vicino suonare il clacson per aiutarci a spalare il vialetto anche se non avevamo chiesto aiuto. Nella Door County, più che altrove, andare d’accordo con i vicini ha continuato a essere un importante strumento di sopravvivenza. Si faceva sempre abbastanza per garantire che le differenze non interferissero con il benessere della comunità. Oggi, alcune persone hanno invece deciso che se qualcuno non ha le tue stesse convinzioni politiche allora non lavorerà per te o non vorrà farti lavorare per lui”. È accaduto a una donna di Sturgeon Bay che si è vista rifiutare una ristrutturazione per via di un cartello pro Harris in giardino.
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Un faro della Door County
“Lo avevamo visto accadere nel resto del Paese, ma non qui”, spiega Fitzgerald, che poi ricorda un recente questionario del Peninsula Pulse in cui veniva chiesto: “Hai estromesso qualcuno dalla vita o hai deciso di non fare affari con lui perché il suo partito politico è diverso dal tuo?” Oltre un terzo degli intervistati (sia democratici che repubblicani) ha detto “sì”.
A vedere scorrere un sabato sera autunnale a Sturgeon Bay, l’acredine resta nascosta. Certo, c’è poco da fare: perfino la birreria locale chiude alle 21, roba da far sembrare al confronto tentacolare la vita notturna ticinese. Resta un posto, il Cherry Lanes Arcade Bar in cui il tempo sembra essersi fermato: dentro ci sono vecchie console da sala giochi, tutte funzionanti: PacMan, OutRun, Mortal Kombat, Popeye, Donkey Kong e una lunga fila di flipper con personaggi di film ormai invecchiati come le loro star, da “Arma Letale” a “Hook”. Sembra di essere nel 1985 o sul set di “Stranger Things”. I ragazzi giocano a bowling mentre la polizia entra quasi annoiata in questo posto dove nessuno ruba niente a nessuno, manco una password facile facile, ma poi ci si toglie il saluto se tu voti rosso e il vecchio amico vota blu. Guelfi e Ghibellini in terre in cui la divisione, un tempo, nemmeno troppo lontano, non era prevista.
R. Scarcella
Vecchi flipper al Cherry Lanes Arcade Bar
“America First”, ripete come un disco rotto Donald Trump. “Football first” lasciano furbescamente intendere i democratici del Wisconsin quando all’improvviso decidono, nel giorno sacro della partita, nella vicina Green Bay, tra i Packers e i Detroit Lions, di organizzare in fretta e furia un comizio di Barack Obama, ancora oggi il Dem più amato del Paese. L’intervento dell’ex presidente “terminerà in ogni caso in tempo per assistere alla partita” si legge nel comunicato ufficiale del partito. Le elezioni magari si vincono anche così.
Il discorso di Obama è finito alle 14.58 lasciando mezz’ora di tempo a chi c’era per piazzarsi davanti alla tv. Ma, ad ascoltarlo, viene il dubbio che molti si sarebbero saltati volentieri un paio di touchdown per lui. Carismatico, spigliato, divertente e – quando necessario – capace di emozionare, quasi a comando, la folla, Obama, arrivato in Wisconsin due giorni dopo Trump e quattro dopo Harris, ha mostrato ai due candidati come si dovrebbe fare. Certo, a Trump le ha cantate, mentre per Harris – come da copione – solo parole di zucchero, ma il confronto tra il suo eloquio e quello di Donald e Kamala è impietoso. Lei – comunque cresciuta in pochi mesi – è priva di quell’aura da capopopolo gentile che avvolge Obama. Trump, a cui non mancano presenza, magnetismo, parola e inventiva è invece un “One trick pony”, come si dice qui, uno che alla fine fa sempre lo stesso numero. Magari gli basterà. Di sicuro vedere Obama sul palco a sedici anni dalla sua prima, storica elezione, lascia molti interrogativi su come repubblicani e democratici in quasi due decadi non siano riusciti a trovare un volto credibile, spendibile, in grado di non arrivare col fiato corto all’ultima curva.
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Barack Obama sul palco