La cantautrice sarà giovedì 24 e venerdì 25 ottobre al Sociale con la sua versione del teatro-canzone ‘Libertà obbligatoria’
Si divertono e «non è scontato», ci dice Andrea Mirò che con i ‘Musica da Ripostiglio’, Enrico Ballardini, Gianluigi Fogacci e Lisa Galantini («per cortesia scriva i nomi di tutti i partecipanti, perché siamo un gruppo davvero rodato e molto affiatato»), arriva al Sociale di Bellinzona giovedì 24 e venerdì 25 ottobre (inizio alle 20.45) con il teatro-canzone ‘Libertà obbligatoria’. Con l’adattamento e la regia di Emilio Russo, si tratta della ripresa dell’omonimo spettacolo del 1976 di Giorgio Gaber e Sandro Luporini e «fare Gaber – aggiunge la cantante, compositrice, cantautrice e produttrice – equivale di sicuro anche a divertirsi». Dall’entusiasmo con cui lo afferma, v’è da non avere dubbi.
Ci parli di questo spettacolo rispetto a quello di Gaber.
Non essendoci lui, occorre anzitutto scostarsi da una banale e pedissequa esecuzione dell’originale. Come avevamo già fatto per ‘Far finta di essere sani’, abbiamo moltiplicato le persone sul palco di modo che i monologhi diventassero dialoghi e scambi tra più persone. Questo crea un ritmo completamente diverso da quello che aveva Gaber, senza nulla togliere al contenuto e mantenendo tutti i punti di riferimento. Ovviamente tutto è un po’ rimeditato, per non avere troppi di quei rimandi del periodo storico di Gaber che lui cambiava in continuazione a dipendenza della situazione politica e sociale. Sebbene non ci sia niente del suo lavoro che sia datato. Purtroppo, vien da aggiungere.
Ciò che portiamo noi in scena è la riproposizione dello spettacolo di Gaber in quanto perfettamente attuale. C’è un’alternanza di canzoni, con la scelta ovvia di rimaneggiare gli arrangiamenti; poiché una celebrazione non significa una riproposizione identica, ma è la trasformazione in qualcosa che oggi possa essere comprensibile. La cifra è mettere gli abiti attuali invece di quelli del 1976, ma il succo è lo stesso.
Cosa c’è di Gaber e del suo pensiero che è ancora attuale ai nostri giorni?
Tutto. Tutto, ahimè. Lui ha sempre raccontato l’altro da sé, ciò che un uomo vede nello specchio, la condizione sociale (personale, di coppia, in comunità), il disagio, l’inquietudine individuale e sociale dell’essere umano. Non si finisce mai di avere temi da proporre in relazione a Gaber, in quanto parla – come fanno i grandi – della loro universalità. Ha sempre saputo dire cose perfino pesantissime avendo al contempo il guizzo ironico, portando il fruitore ad alternare sorriso e pure risate a momenti più profondi e dolorosi; perché lui non fa sconti. E con lui intendo Gaber e Luporini, che insieme erano un unicum e formavano una cosa sola.
Gira e rigira gli argomenti sono super moderni. Perché l’umanità è progredita dal punto di vista tecnologico e scientifico, ma rimaniamo (secondo me, tanto più visto tutto ciò che sta accadendo nella storia internazionale) con la clava in mano.
Il titolo dello spettacolo contiene questa parola per certi versi dura – ‘obbligatoria’ – abbinata a ‘libertà’, che invece evoca infinite possibilità. Cosa significa?
È un titolo violento. La nostra vita di oggi ha l’aria di essere libera da schemi: ognuno pare possa essere ciò che vuole essere e fare ciò che vuole fare. E però non è così. C’è un livello di giudizio continuo, un’estrema manipolazione, un manicheismo spalmato su tutto (è bianco o è nero, è buono o è cattivo, è giusto o è sbagliato). Un giudizio tranchant e senza vie di mezzo, che viviamo continuamente attraverso i media e i social. Abbiamo scordato che l’essere umano e la sua vita non sono fatti di due colori, bensì di innumerevoli sfumature; che le ragioni vanno comprese e che (anche) per questo è necessario sapere, prima di parlare. Invece nell’epoca attuale tutti si sentono autorizzati a dire qualsiasi cosa vogliano, fino al punto di massacrare gli altri.
Cosa c’è invece di Andrea Mirò nella pièce?
La passione. Gaber non l’ho mai incontrato; conosco però sua figlia Dalia, che ama ciò che faccio sia di mio sia di interpretazione di ciò che ho eseguito del padre. Ho inoltre avuto la ‘benedizione’ di Luporini, la prima volta che mi aveva vista sul palco della Fondazione Gaber; ciò che mi aveva profondamente commossa. Mi sono addentrata nel territorio gaberiano e, conoscendo bene la materia musicale, ho trovato una chiave di lettura d’esecuzione abbastanza mia. Musicalmente ci sono affinità: dal punto di vista cantautorale, se devo pensare a qualcuno cui fare riferimento, Gaber è indubbiamente uno. Mi piace e fa parte di me per una serie di motivi, in particolare per ironia e parte espressionista.
Per ciò che mi riguarda, cantare Gaber non sarà mai come vedere uno che esegue Gaber e di lui si dice che è simile e allora tanto vale ascoltare l’originale. Per cantare Gaber credo sia essenziale una caratteristica, che può apparire una stupidaggine ma tale non è: avere una vocalità che può permettersi di cantarlo, senza aggiungere nulla. Gaber non ha virtuosismi (per ciò che noi intendiamo con virtuosismi vocali), nonostante ciò era bravissimo a cantare e nei suoi brani si trovano parti a volte complesse, perché era un grande musicista e sapeva cosa stava facendo, armonicamente e melodicamente.
Non occorre cercare di interpretare ciò che già c’è nella scrittura gaberiana con una vocalità che si adegua di suo, ma io sono un contralto e timbricamente mi trovo comoda. Se canta un uomo, è più facile che metta ‘il piede in fallo’ dal punto di vista vocale, col rischio di fare il verso a un Gaber che cantava cose che diceva lui e che poteva dire solo lui, in canzoni scritte in modo così caratterizzato sulla sua personalità. Questo può essere invece bypassato da un’essenza femminile, che può portare una sfumatura che può anche essere inedita.
Si può, e come, spiegare Gaber a un giovane che non lo conosce o lo reputa tutt’al più un disco polveroso su un ripiano?
Credo che consiglierei di ascoltarlo. In Gaber non c’è la cassa in quattro o il metronomo a 135; è un tipo di musicalità difficile da far comprendere ai giovani. Un modo potrebbe essere quello di cercare e proporre loro quei pezzi che possono essere una bandiera di contenuti e che al contempo abbiano un appeal musicalmente. Un gancio che potrebbe creare interesse e curiosità nelle generazioni più giovani, è il provare a capire quanto attuale sia la cifra gaberiana. Un primo passo sarebbe l’andarsi a leggere i testi e vedere, capire, dirsi che potrebbero essere scritti oggi.
In generale è complicato fare ascoltare ai più giovani quegli autori che hanno lasciato un segno. In Gaber ci sono sprazzi, come i momenti più ironici, con i quali si può giocare per poi arrivare ai pezzi più ‘strong’. Ma non ci sono scorciatoie e ciò vale per molti artisti del passato (oltre a tante cose nella vita, non solo nella musica). Il primo passo è la voglia di mettere da parte una reticenza, provando ad ascoltare per poi dirsi ‘non mi piace’ o ‘toh, qualcosa ci trovo’ o ‘mi piace talmente il testo da inghiottire pure una musica’ alla quale non si è avvezzi. È un percorso, che dipende anche da chi ti sta porgendo una materia, sapendola far amare seppur ostica. Tutto parte dal comunicatore, dal divulgatore. Ma qui, apriremmo ben altri capitoli... (ride, ndr).