I cambiamenti climatici tolgono il sonno a tal punto che sempre più giovani non vogliono fare figli. Ne ha sofferto un medico ticinese che si racconta
Il bosco è sempre stato il suo luogo speciale, dove ricaricarsi, soprattutto dopo lunghe giornate di lavoro in ospedale. Ma Giovanni, medico ticinese 55enne, nel suo bosco non riusciva più a metterci piede. «Era l’estate del 2022, era il periodo della siccità in Ticino, quando andavo a camminare nel bosco riuscivo a vedere solo piante secche, mi deprimeva, mi veniva da piangere. Convivevo con un costante senso di imminente disastro, mi sembrava di non avere alcuna via d’uscita. Non c’era un solo posto nel mondo dove avrei potuto scappare», ci racconta Giovanni (che preferisce restare anonimo). Le sue parole trasmettono tutto lo sgomento, di chi è consapevole delle conseguenze che ogni azione quotidiana ha sul futuro del pianeta. Vedere i segni del cambiamento climatico aumentava ancora più un’ansia paralizzante che certi giorni arrivava perfino a bloccarlo sul divano nei suoi pochi momenti di svago.
La diagnosi: ecoansia. Una costellazione di emozioni persistenti e pervasive, in risposta a stimoli diretti o indiretti, legate alla preoccupazione per il cambiamento climatico. È in aumento, sta diventando un problema di salute pubblica e colpisce prevalentemente (ma non solo!) i giovani tra i 15 e i 35 anni. La crisi climatica è una realtà scientificamente provata: la Svizzera ha già registrato un aumento delle temperature di 2,8 gradi rispetto all’epoca preindustriale, con un aumento degli eventi estremi. Il 70% della popolazione svizzera è preoccupato: siccità, record di temperature e alluvioni senza precedenti sono sotto gli occhi di tutti. C’è chi, sentendosi impotente, rimuove tutto; c’è chi si sente irritato, triste, in colpa e chi agisce per modificare il proprio modo di vivere.
Il rischio è che la preoccupazione costruttiva diventi ansia paralizzante, debilitante e prenda il sopravvento su tutto il resto. Per il medico ticinese fu così durante un momento di stress acuto. «Per molti mesi durante la pandemia abbiamo vissuto sempre al limite, non sapendo se c’erano abbastanza letti per i pazienti. Poi è arrivata la guerra in Ucraina. Poi la siccità. La preoccupazione per il clima mi faceva rivivere quella sensazione di essere sempre oltre un punto di non ritorno». L’ansia divorava ogni pensiero e il medico suo malgrado si decise a chiedere aiuto a uno specialista. Oggi ha superato la fase acuta. Ci confida con serenità: «Guardandomi attorno, mi chiedo come si fa a non essere in ansia. È forse più folle chi non si preoccupa». L’ecoansia è il malessere dei cittadini più consapevoli e si sta diffondendo a macchia d’olio.
«Eventi climatici estremi o notizie legate al cambiamento climatico possono amplificare questo disturbo. L’ansia è l’anticipazione di una paura ed ha aspetti cognitivi (pensieri a carattere catastrofico), emotivi (apprensione, agitazione) e somatici (tachicardia, irritabilità)», ci spiega Matteo Innocenti, psichiatra, autore di vari libri scientifici (come ‘Ecoansia’) e presidente dell’Italian Climate Change Anxiety Association. È un fenomeno in crescita in Svizzera. In un sondaggio del 2022 su 2’000 studenti dell’Università di Losanna è emerso che l’85% è “inquieto”, il 65% è “molto inquieto”. Il 53% ha detto di non aver voglia di avere dei figli in questo mondo. Se ne è parlato al seminario organizzato dall’Associazione della Svizzera italiana per i disturbi ansiosi, depressivi e ossessivo-compulsivi (Asi-adoc) a Mendrisio.
Lo psichiatra Michele Mattia
«È la preoccupazione che più affligge adolescenti e preadolescenti. Hanno l’angoscia che il clima venga tolto loro dagli adulti che spesso rimuovono questo problema», spiega lo psichiatra Michele Mattia presidente dell’Asi-adoc.
È quello che lui e suoi colleghi osservano nei loro studi, una nuova sofferenza: «Si manifesta con pensieri rimuginativi. Veniamo bombardati da tante notizie, che si diffondono a macchia d’olio. Non sempre siamo in grado di processarle, per cui si può attivare il circuito di allerta per qualcosa che sta per succedere. Questo rimane impresso nella mente e diventa un pensiero continuo». Ai genitori lo psichiatra consiglia di affrontare il tema: «La tematica non va banalizzata o negata con frasi del tipo ‘Questi problemi ci sono sempre stati anche in passato’. Pur evitando il catastrofismo, bisogna saper spiegare che cosa sta succedendo».
Dall’ecoansia si può scivolare nell’ecoparalisi. «Uno stato di inattività. Non si fanno più scelte, né pro ambiente, né contro l’ambiente, arrivando alla conclusione che la nostra stessa esistenza contribuisce alla distruzione del pianeta», continua Innocenti, che collabora con l’Università degli studi di Firenze a studi sull’impatto psicologico dei cambiamenti climatici sulla popolazione. Lo psichiatra fa un esempio dei pensieri paralizzanti: «Se vado in vacanza creo inquinamento. Anche se resto a casa, perché accendo il condizionatore, perché la banca può investire i miei risparmi nel petrolio». Facendo un passo oltre, sempre più giovani decidono di non mettere al mondo figli. Un tema attualmente studiato dall’esperto. Le motivazioni, continua, sono due: «Ogni nuovo individuo aumenta la sovrappopolazione e vivendo inquina. Ma c’è anche il timore di far crescere un figlio in un mondo devastato dagli effetti del cambiamento climatico».
Philippe Conus, esponsabile del Dipartimento di psichiatria del Centro ospedaliero universitario a Losanna, qualche mese fa ha lanciato una petizione affinché la questione venga affrontata il prima possibile col supporto dell’Oms. Al fine di preservare la salute mentale della popolazione.
Lo psichiatra Innocenti suggerisce tre strategie, per non cadere nell’ecoparalisi e rimanere in una preoccupazione costruttiva, utili sia a chi ha vissuto drastici mutamenti ambientali sia a chi ne soffre per l’esposizione mediatica: impegnarsi in attività in favore dell’ambiente (come ridurre l’uso dell’automobile, gli acquisti, il consumo di carne, anche della plastica...) per ridurre anche il senso di colpa, ponendosi però obiettivi raggiungibili; fare rete per contrastare il senso di solitudine; ristabilire una connessione con la natura.
Attivarsi in piccole azioni è importante. Al riguardo, precisa lo psichiatra Mattia: «Fare delle scelte e non farsi scegliere dall’industria alimentare. Questo passo riduce l’ansia e introduce il principio dell’auto efficacia (‘Io sono efficace’). Ci si sente meglio perché si sta contribuendo a qualcosa».
È anche la strada che ha percorso il medico Giovanni: «Mi ha aiutato, partecipare all’organizzazione di eventi pro clima, concentrandomi su azioni costruttive. Agendo capisci che tanti altri la pensano come te». Un’esperienza che ha cambiato la sua quotidianità: «Ho fatto delle scelte ecologiche, come usare i mezzi pubblici e una dieta povera di carne. Non le considero rinunce, ma alternative positive. Infatti, in treno mi arrabbio meno, ho più tempo per leggere ed è più economico. Inoltre cerco di valorizzare le buone notizie, cercandole attivamente. Aiuta a capire che non tutto è perduto».
Quella di stare in gruppo, di fare rete, di affiliarsi a qualche movimento, di condividere azioni e preoccupazioni è un balsamo per l’ecoansia: «Riduce il senso di solitudine, aiuta a non sentire tutto il peso sulle proprie spalle, non sentirci come unici paladini della lotta al cambiamento climatico», precisa Innocenti. Gli chiediamo che cosa ne pensa degli attivisti chi si incollano in strada: «Come ricercatore osservo che questi atti sono meno frequenti. L’obiettivo era quello di aumentare la consapevolezza, ma di fatto non hanno sortito l’effetto sperato, anzi hanno creato rabbia e stigma», spiega Innocenti.
Lo psichiatra Matteo Innocenti
Terzo consiglio è di riscoprire la natura. Ancora Innocenti: «Soprattutto i giovani delle grandi città non hanno il medesimo contatto con la natura che avevano i loro genitori. È paradossale, ma questo scarso contatto, unito alla preoccupazione per il suo deterioramento, fanno sì che proprio i più giovani percepiscano la natura come un luogo distrutto e contaminato. È fondamentale ristabilire una connessione». Quindi stare nel verde può aiutarli anche a cambiare la retorica: «Ad agire non per contrastare una crisi, per evitare il peggio, ma per salvaguardare qualcosa che amano ed è ancora rigoglioso. Diventa un’azione più propositiva, mossa da un’emozione e non una reazione alla paura e all’ansia».
Importante infine anche il ruolo della comunicazione: «Va adattata al tipo di pubblico, restando semplici, fornendo dati, per dare un contesto, così l’ansia diventa preoccupazione. Occorre anche deresponsabilizzare il singolo su ciò di cui non è responsabile ma responsabilizzarlo dove può essere efficace», conclude Innocenti.