Dadò chiede piena luce sul caos al Tpc ipotizzando, altrimenti, che la questione venga presa in mano dalla politica. E Gobbi dà per spacciati tre giudici
«Se ci si accorgerà che si tenta in un modo o in un altro di metterla via a tarallucci e vino, e mi riferisco anche al caso di mobbing e del rapporto Galliani, la politica dovrà intervenire». È un Fiorenzo Dadò lancia in resta quello che, intervenuto ieri sera alla trasmissione “La domenica del Corriere” (Teleticino), lascia intendere che se non si farà piena luce sui retroscena relativi al caos al Tribunale penale cantonale, in Gran Consiglio potrebbe chiedere un audit o una Commissione parlamentare di inchiesta (Cpi). «Perché qui il danno d’immagine non lo subiscono uno, due o tre giudici, ma anche tutti gli altri giudici che stanno lavorando in modo eccellente in magistratura. Ed è ovvio che qualcuno dovrà vederci chiaro dalla A alla Z», ha aggiunto il presidente del Centro nonché della Commissione parlamentare giustizia e diritti.
Lo scorso 2 ottobre, ricordiamo, un non luogo a procedere è stato emanato dal procuratore pubblico straordinario grigionese Franco Passini per i delitti contro l’onore contestati, tramite una querela, dai giudici Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti ai colleghi del Tpc Mauro Ermani, Marco Villa e Amos Pagnamenta in relazione ai contenuti della segnalazione fatta dai tre al Consiglio della magistratura. Segnalazione nella quale rimproveravano ai due magistrati presunte mancanze comportamentali. Decreto che Quadri e Verda Chiocchetti hanno deciso di impugnare tramite il loro avvocato Marco Broggini. Il non luogo a procedere per delitti contro l’onore segue quello decretato nelle scorse settimane, sempre dal grigionese Passini, per il reato di pornografia. Anche questo ipotizzato nella querela sporta da Quadri e Verda Chiocchetti, per la foto, tratta da internet, dei due falli giganti, con una donna seduta in mezzo e la scritta ‘Ufficio penale’, inviata nel 2023 dal giudice Ermani alla segretaria del Tpc presunta vittima di mobbing da parte di una collega.
Dal canto suo, il direttore del Dipartimento istituzioni (Di) Norman Gobbi, sempre durante la trasmissione, ha dichiarato che secondo lui «il parlamento dovrà in un momento o l’altro nominare da due a tre giudici nuovi per il Tribunale penale cantonale». Per Gobbi il rischio che debba farlo «è elevato da un lato per il comportamento personale di una persona, il giudice Ermani, che è già stato criticato ampiamente anche dalla politica cantonale e quindi si porrà la questione dell’opportunità al di là delle leggi». Dall’altra perché «comunque due giudici penali che fanno una denuncia penale che finisce in un non luogo a procedere secondo me devono o possono avere delle conseguenze», ha affermato Gobbi riferendosi a Quadri e Verda Chiocchetti. «Il direttore del Di fa delle dichiarazioni abbastanza gravi», ha ribattuto il deputato in Gran Consiglio dell’Mps Matteo Pronzini: «Come si permette di dire che i due giudici che hanno segnalato dovranno lasciare il posto insieme a Ermani?».
Pronzini parla dunque di dichiarazioni gravi. Dichiarazioni che di certo sollevano quesiti di natura istituzionale. Quali elementi ha in mano il consigliere di Stato per asserire in sostanza che vi saranno delle conseguenze disciplinari, oltre che per il presidente del Tpc Ermani, per i giudici Quadri e Verda Chiocchetti, i due magistrati del medesimo tribunale che lo scorso autunno hanno informato la Commissione amministrativa del Tribunale d’appello, nel quale è inserito il Tpc, del presunto mobbing subito da una segretaria e di un clima di lavoro all’interno del Tribunale penale a loro dire difficile e riconducibile ai tre colleghi: Ermani, il vice Marco Villa e Amos Pagnamenta? Sono deduzioni/previsioni/congetture del capo del Dipartimento istituzioni? Oppure a Gobbi sono state riferite circostanze da chi, a vario titolo, si sta occupando delle tensioni al Tribunale penale cantonale? Insomma, un chiarimento si impone.
Ed è inoltre pendente la domanda di fondo. A tutt’oggi – come mai – l’opinione pubblica non conosce i contenuti del rapporto che l’avvocata Galliani ha allestito su mandato del Consiglio di Stato. Galliani ha consegnato il documento pochi giorni dopo la metà di agosto al governo. Il quale lo ha poi trasmesso alla Commissione amministrativa del Tribunale d’appello, che è il datore di lavoro delle due segretarie, cioè di colei che avrebbe subito il mobbing e di colei che il mobbing lo avrebbe praticato. Presieduta dal giudice Giovan Maria Tattarletti, la Commissione è chiamata a trarre le conclusioni giuridiche su quanto accertato dalla già procuratrice generale aggiunta. È solo una nostra ipotesi, ma se le verifiche di Galliani non avessero riscontrato nulla di anomalo, verosimilmente a Palazzo di giustizia lo si sarebbe già saputo. Anche per porre fine al cosiddetto caos Tpc. Comunque sia, l’attesa continua.
Della Commissione amministrativa fa parte anche il presidente del Consiglio della magistratura (attualmente è il giudice d’appello Damiano Stefani). È opportuno che il responsabile dell’organo che vigila sul funzionamento del sistema giudiziario ticinese sia anche membro (addirittura vicepresidente) dell’organo al vertice del Tribunale d’appello? È lecito nutrire qualche dubbio.