Come un’epidemia, disprezzo e indifferenza per la sofferenza dell’altro contagiano oramai un po’ tutti. In Medio Oriente, come qui da noi
“Spade di ferro” con il suo mare di devastazione ci lascia ormai solo il pessimismo della ragione. Un anno di massacri ha spazzato via gli ultimi residui di un malinconico ottimismo della volontà. La guerra dei cent’anni continua, si espande, l’odio e la crudeltà tracimano, prossime all’orlo dell’abisso. Un baratro che sembra osservarci e attenderci, come se la nostra caduta fosse già scritta nell’escalation della dismisura. Bambini mitragliati, donne e uomini sgozzati, giovani freddati impietosamente durante una festa manco fossero piccioni, ostaggi legati, imprigionati, buttati nei tetri anfratti del sottosuolo.
Al lugubre exploit terroristico di Hamas, ha replicato la più atroce delle vendette: Tsahal si macchia di crimini di inaudita spietatezza, spazzando via case, ospedali, scuole, campi profughi, moschee, trasformando i giornalisti in bersagli mobili. Prigionieri torturati impunemente, corpi gettati dai tetti, selfie di spavaldi militari che brandiscono i pupazzi dei bimbi finiti sotto le macerie.
Nel 1948 Albert Einstein e Hannah Arendt scrissero una lettera al New York Times tacciando il futuro premier Menachem Begin di essere un nazista. Oggi l’insospettabile capo del Mossad Tamir Pardo di fronte allo scempio non pesa le sue parole sugli eredi di Begin: “Nel governo ci sono partiti razzisti e fascisti”. Masha Gessen, reporter dell’autorevole New Yorker, paragona Gaza ai ghetti ebraici della Polonia occupata dal Reich. Tanta rabbia, anche se le equivalenze storiche non hanno mai solidità scientifica, e in questa carneficina senza fine ognuno è l’Hitler dell’altro: Netanyahu, Ben-Gvir, Sinwar, Khamenei, Nasrallah eccetera.
Il procuratore della Corte penale chiede un mandato di cattura per i leader di Hamas, per Netanyahu e il ministro Gallant. Ma contrariamente a quanto successo con Putin, la decisione della Cpi tarda singolarmente a essere presa. Nel frattempo i principali leader di Hamas sono stati uccisi, Hezbollah decapitata, e in Libano l’invasione e la guerra aprono lo spettro di un Gaza 2. Spazzate via vite e case, piani di pace e pure il diritto internazionale. Di sanzioni non se ne parla, vanno bene solo contro “l’asse del male”, però la lista degli “Stati canaglia” avrebbe bisogno di essere aggiornata.
Una spessa nebbia di ipocrisia avvolge un’America timorosa, ostaggio del più estremista premier della storia di Israele. Molta foschia anche a Berna: nel momento di maggior bisogno per i civili, senza ritegno si mette in croce l’Unrwa. Il fronte della pace soffre: in campo palestinese si spengono le voci della ragione, via libera al fanatismo islamista. In quello ebraico lo sconforto è profondo, doloroso: Gad Lerner a malincuore snocciola il lessico dell’infamia: apartheid, pulizia etnica, razzismo.
In uno splendido testo scritto alla fine del secolo scorso (“La rabbia del vento”), l’israeliano S. Yizhar si mette nella pelle di un soldato incaricato con altri commilitoni di distruggere un villaggio palestinese nel 1948. Vorrebbe opporsi, ma non ne ha la forza: “Ormai le voci dentro di te si sovrappongono. Forse dovresti alzarti in piedi e protestare? Oppure al contrario, metterti a guardare e star male fino a sanguinare?”. Come un’epidemia, disprezzo e indifferenza per la sofferenza dell’altro contagiano oramai un po’ tutti. Il Medio Oriente messo a ferro e a fuoco dall’odio dei nuovi barbari. Che si annidano pure, tra lobby, ipocrisie e tifoserie, anche qui da noi.