I dettagli sul decreto d’abbandono che nel 2021 ha scagionato il sacerdote da accuse pesanti vertono sul rapporto con la 48enne convivente
Due persone legate da un affetto molto profondo, una relazione sentimentale confermata da entrambi. Di fatto una coppia di conviventi, ma senza la componente carnale. E la scelta di vivere in condizioni discutibili nell’appartamento di via Borghetto 2 a Lugano, di proprietà della Curia, è stata presa consapevolmente. Senza costrizioni. È questa la novità più grande che emerge dal decreto di abbandono stilato nel febbraio del 2021 dall’ex procuratrice pubblica Pamela Pedretti, con il quale scagionò don Azzolino Chiappini dalle pesanti accuse di sequestro di persona, coazione e lesioni semplici per omissione nei confronti della 48enne (all’epoca dei fatti) originaria del Nord Europa, che viveva da tanti anni con il monsignore.
Lo ricordiamo: dopo una vertenza durata tre anni, ‘laRegione’ è riuscita ad accedere solo negli scorsi giorni al decreto, dopo che nel 2022 il Tribunale federale (Tf) ha dato ragione alla nostra testata, che – in nome della libertà di stampa – ha presentato istanza di accesso integrale agli atti anonimizzati, e non solo parziale come concesso in un primo momento da Procura e Corte dei reclami penali (Crp). Lo scorso luglio la Crp del Tribunale d’appello ha infine recepito quanto disposto dal Tf. Le difese – gli avvocati Elio Brunetti per il sacerdote e Francesca Perucchi Casamassima per la donna – non hanno impugnato la decisione, pertanto il procuratore pubblico Luca Losa, che ha ripreso l’incarto da Pedretti, ha inviato il decreto a ‘laRegione’ e al ‘Corriere del Ticino’ e oggi siamo in grado di spiegare i motivi che hanno prosciolto dalle accuse l’ex rettore della Facoltà di Teologia.
Nelle ventiquattro pagine, una lunghezza considerevole per un abbandono, si ricostruiscono in primo luogo dettagliatamente i primi interrogatori e fondamentalmente i motivi che hanno portato all’intervento delle autorità di polizia. Ovvero, a causa di verifiche amministrative sulla regolarità del permesso di soggiorno di una donna che viveva in via Borghetto 2. Un aspetto già emerso durante l’inchiesta. Come anche la titubanza nel fornire informazioni e le versioni differenti di Chiappini sull’identità della donna e sul tipo di rapporto che intercorreva fra i due. E poi, una fragilità di salute di lei evidenziata da entrambi, che sarebbero stati all’origine delle pessime condizioni nelle quali si trovava l’appartamento comune: senza elettricità, per loro scelta, da un paio d’anni, sporco e con alcuni locali inagibili. E poi i tanti pacchi ordinati da Zalando e altri fornitori, spesso neanche aperti, che si ammassavano un po’ dovunque. Un contesto nel quale vivevano in apparente segretezza, in quanto l’ingresso a terzi era rifiutato. Ma, soprattutto, l’ipotesi iniziale era quella che la donna vivesse praticamente da reclusa perché costretta.
Tuttavia, e questo emerge dagli incarti, già prima del fermo del sacerdote 80enne – avvenuto il 20 novembre del 2020 –, durante gli interrogatori ai quali entrambi sono stati sottoposti nei giorni precedenti, non sono emersi elementi di coercizione né fisica né psicologica, come riferito da una visita medica alla quale la donna è stata sottoposta in ospedale. Un fatto ribadito il giorno del fermo, quando lei stessa ha contestato il ruolo di presunta vittima. In breve, anche Pedretti ammorbidisce le accuse: il 21, formulando l’istanza di carcerazione preventiva abbandona da subito l’ipotesi di sequestro di persona, in quanto nell’appartamento è stata trovata una chiave che era a disposizione della 48enne, così come da lei stessa confermato. Tuttavia, la pp decide comunque di procedere con l’istanza non solo per il pericolo di collusione, ma anche perché ravvisa la presenza di gravi indizi del reato di lesioni semplici (commesse per omissione) e di coazione.
Un’istanza che nel giro di due giorni il giudice dei provvedimenti coercitivi (gpc) ha respinto, spiegando che invece non sono emersi elementi sufficienti per confermare la presenza di seri e concreti indizi di colpevolezza tali da giustificare la carcerazione. Da un lato, ha precisato che lo stile di vita era frutto delle sue scelte e che non è stata vittima di alcuna violenza, dall’altro le spiegazioni fornite dall’alto prelato sono apparse nell’insieme lineari e compatibili con quelle fornite dalla presunta vittima. Ipotizzare che la donna possa essere stata in qualche modo plagiata negli anni, aggiunge, dovrebbe essere sostenuto da altri indizi, come ad esempio un racconto inverosimile dell’accusato, che non è emerso. A contrastare l’ipotesi che vi siano state delle limitazioni imposte alla donna, vi è la libertà che essa aveva di utilizzare il tablet per le ordinazioni di pacchi. Senza dimenticare le uscite, in clinica e ristoranti, che pur essendosi diradate fino a sparire negli ultimi tempi, sarebbero state rischiose nell’ottica di possibili contatti con terze persone.
Qualche elemento, in ogni caso indiziario, per il reato di lesioni semplici per omissione il gpc lo intravede, in quanto ritiene legittimo valutare e capire se l’indagato possa o debba in qualche modo essere considerato il garante della donna e che il suo mancato intervento ne abbia influenzato (anche solo aggravato) le condizioni di salute. Tuttavia, questo elemento non basta per giustificare la carcerazione preventiva. Il gpc respinge dunque la richiesta di Pedretti, ma ne difende l’operato – che dopo il decreto di abbandono sarà oggetto di critiche –, spiegando che l’intervento è apparso giustificato di fronte alle prime constatazioni, che lasciavano pensare a un contesto ben più grave. Don Chiappini viene dunque scarcerato dopo tre giorni e l’inchiesta prosegue ma con un tono differente.
Da un lato gli inquirenti hanno tentato di definire meglio i presunti problemi di salute della donna, non senza difficoltà. La 48enne è stata visitata da alcuni medici, senza tuttavia arrivare a una diagnosi definitiva in quanto gli accertamenti non sono mai stati condotti fino in fondo. D’altro canto, Pedretti ha cercato di far luce sull’effettivo rapporto fra i due e quindi capire se Chiappini poteva essere definito il suo garante e dunque caricarsi di eventuali responsabilità. E grazie all’analisi dei dispositivi elettronici del sacerdote e della 48enne, la pp ha concluso che la loro sarebbe stata una vera e propria relazione e che avevano un progetto: lasciarsi alle spalle gli obblighi del monsignore e vivere insieme liberamente. Proprio in questa prospettiva sarebbero stati acquistati i numerosi oggetti da Zalando e da altri portali, frutto di un progetto comune e non di un comportamento compulsivo come inizialmente sospettato.
È proprio da questo punto che partono le riflessioni più inedite della pp, che hanno portato all’abbandono. Cosa ha portato due persone a vivere così? Per via delle fragilità di salute della donna, come asserito dall’indagato e dalla presunta vittima, o perché avevano paura di venir scoperti? Per Pedretti quest’ultima ipotesi è la più verosimile, in quanto il prelato avrebbe rischiato di perdere il ministero e quindi entrambi hanno coscientemente scelto di vivere in quelle condizioni per evitare che don Chiappini perdesse lo stato sociale, le funzioni e il guadagno. Da queste considerazioni è partita la pp per firmare il decreto. Sul sequestro di persona, si è già detto: la donna non è stata privata della chiave dell’abitazione, una copia era in casa e lei lo sapeva.
Non è realizzata nemmeno la coazione: anche accertate le ipotesi, il reato presuppone che la realizzazione del danno – nell’interpretazione di Pedretti, quello dell’immagine sociale di Chiappini – dipenda dalla volontà dell’autore. E non è il caso: la volontà di vivere così era prevalentemente della donna. Nulla da fare neanche per le lesioni semplici per omissione. Pedretti evidenzia che gli accertamenti sullo stato di salute della donna, parziali, non hanno permesso di confermare la commissione del reato. Se è vero che la giurisprudenza riconosce la posizione di garante del convivente se coniuge e in taluni casi anche del convivente e basta, come parrebbe il caso, questa si limita solo ai casi di urgenza. E quando quest’ultima si è presentata, la donna ha chiesto e ottenuto che don Chiappini la accompagnasse in ospedale. Pertanto, precisa la pp, nulla si può rimproverare a Chiappini.
Queste dunque le conclusioni della pubblica accusa su un caso che quattro anni fa ha suscitato sconcerto, molte domande e altrettanto clamore, ma che si è poi sgonfiato scagionando il professore emerito. «È stato un grande equivoco, ma che ha causato molta sofferenza – osserva don Azzolino Chiappini, sentito da ‘laRegione’ per commentare il decreto –. È stato un periodo pesante. Non ho mai voluto leggere cosa hanno pubblicato i giornali in quei giorni, mi avrebbe fatto troppo male. Ma d’altra parte ho avuto molto supporto da parte delle persone che mi conoscevano. Questo, come la mia convinzione di innocenza, mi ha aiutato». Sebbene l’inchiesta si sia conclusa in nulla, monsignor Chiappini tuttavia, come anche i legali della 48enne, contestano alcune conclusioni alle quali è arrivata l’ex procuratrice pubblica. «Vorremmo precisare che da parte nostra non c’era alcuna volontà di censura nei confronti della stampa – spiega l’avvocata Perucchi Casamassima –, ma piuttosto la volontà di tutelare la nostra assistita, che ha sofferto molto a causa di questa vicenda. Don Chiappini e la signora vivevano insieme, non avevano nulla da rimproverarsi rispetto alle scelte di vita che avevano fatto, compreso il voto che comporta la scelta del sacerdozio, e quindi non avevano nulla da temere dalla Curia, che era a conoscenza della situazione, o da chicchessia. Il loro modo di vivere era il risultato di una loro libera scelta. In ogni caso, il piano previdenziale di don Chiappini è un fatto privato e non ha nulla a che fare con l’inchiesta penale relativa ai reati contestati».
Precisazioni condivise da don Chiappini: «Il problema è nato dal fatto che nel decreto è inserita una grande quantità di informazioni di per sé non necessarie per arrivare alla conclusione che la persona incriminata non fosse colpevole». Respinta dunque la tesi che la scelta di vivere in quelle condizioni fosse dovuta a una paura di perdere lo status e il denaro. «Questo è falso – replica il sacerdote –: è un pensiero che non ho mai avuto. Non c’è mai stata la volontà di nasconderci e il fatto che i primi anni uscissimo, lo attesta. Da parte delle persone che in Curia erano a conoscenza del fatto che vivessimo assieme non ho mai subito alcuna pressione, come ho dichiarato durante gli interrogatori (e come emerge dal decreto, ndr)». Questo, perché il rapporto affettivo fra il sacerdote e la 48enne non ha infranto il voto di castità dell’80enne, stando alle dichiarazioni di entrambi. Pedretti inoltre scrive che Chiappini ha giustificato la scelta di continuare a vivere così per motivi finanziari. «Sì, ma anche questo è stato un fraintendimento. Intendevo dire che era importante arrivare alla pensione per avere una maggior stabilità economica», e conseguentemente continuare a lavorare e ad abitare in via Borghetto 2. «Non temevo che mi sospendessero».